Quesito del 04/09/2016

Coop. indivisa, legge Botta viene trasformata in divisa, per vendere gli alloggi serve certificato di abitabilità, chi deve pagare il certificato di rispondenza? La coop o l’assegnatario ora acquirente?

Risposta al quesito:
La Cooperativa che assegna gli alloggi è tenuta ad acquisire tutti i certificati riguardanti gli immobili (ivi compreso quello di agibilità) sopportandone le relative spese.
Si deve, però, precisare che tutti i costi sono sostenuti dalla Società avvalendosi dell’apporto finanziario dei soci.
Occorre, pertanto, verificare se, nel caso di specie, esistono già le risorse finanziarie o avrebbero dovuto esistere e, quindi, procedere in danno degli amministratori in caso di inadempienza.

Quesito del 03/09/2016

Sono da poco presidente di una Coop, edilizia a cui resta da assegnare ai soci, dopo alcuni lavori di definizione, i box interrati.
I box in questione sono 42, di cui 41 prenotati da soci ed 1 da un non socio. Tale soggetto, receduto nel lontano 1989 dopo l’assegnazione dell’alloggio, nel 1998 ha ottenuto la prenotazione di un box in costruzione (senza essere reiscritto come socio), pagandolo per intero ed ottenendo dall’impresa le chiavi, seppure i lavori non erano stati definiti (carenza impianto deflusso acque piovane, mancata certificazione impianto elettrico, assenza impianto antincendio).
Nel 2013 la Protezione civile ha posto sotto sequestro i box proprio per la mancanza di tali lavori. Il nuoco CdA ha ripreso in mano la situazione ed ha ottenuto dall’Assemblea l’approvazione dei lavori ed il finanziamento degli stessi da parte dei soci prenotatari dei box.
Il soggetto di cui sopra, messo al corrente di tale deliberazione e della necessità di reiscriversi a partecipare al costo dei lavori, ha risposto che non ne ha nessuna intenzione e pretende l’assegnazione del box senza contribuire pro quota al costo dei lavori.
Come risolvere il caso, ovviamente addebitabile alle passate gestioni, ma che mi trovo sul groppone?
E’ superfluo sottolineare che lo statuto prevede l’assegnazione degli immobili ai soci.

Risposta al quesito:
La Cooperativa edilizia può vendere il bene realizzato anche a soggetto che non ha la qualità di socio, almeno che lo statuto preveda espressamente il contrario.
Nel caso di specie, occorre preliminarmente esaminare l’atto di “prenotazione“ (ovvero contratto preliminare) a suo tempo stipulato tra la Cooperativa  e il soggetto privo della qualità di socio.
Se tale atto ha la natura di “prenotazione” e lo Statuto prevede l’assegnazione dei beni esclusivamente ai soci, in tal caso sussiste la seguente alternativa: o il soggetto prenotatario  accetta di diventare socio (e, quindi, di pagare quanto deliberato dalla Società) ovvero il contratto si deve rescindere per mancanza dei requisiti del promissario acquirente.
In quest’ultima ipotesi, a seguito della risoluzione del contratto preliminare si deve ricostituire  l’originario sinallagma e, pertanto, la Cooperativa deve rimborsare quanto versato dal promissario acquirente e, ritenuta la presunta conoscenza dello Statuto sociale da parte di quest’ultimo, allo stesso deve esclusivamente la maggiorazione degli interessi legali, senza alcun risarcimento dei danni.
Se, viceversa, lo Statuto non impedisce la vendita a terzi ovvero se l’assemblea deroga all’unanimità alla disposizione statutaria, occorre verificare se il preliminare di vendita ha determinato il prezzo definitivo.
In tale ultimo caso la Cooperativa sarebbe tenuta a stipulare il definitivo e sopportare la differenza sopraggiunta.
In ordine alle responsabilità, occorre verificare se sussistano ancora le condizioni per proporre la relativa azione, tenuto conto che nei confronti degli ex amministratori essa si prescrive in cinque anni e contro l’impresa in dieci anni (salvo interruzioni, rappresentate da diffide o messe in mora).

Quesito del 29/08/2016

Vorrei porre questo problema riguardante un operaio di cooperativa sociale diventato socio con una quota di 50 euro detratta dal primo stipendio.
Durante il lavoro, l’operaio ha involontariamente rovinato il macchinario che usava per svolgere i suoi compiti: il fatto è dovuto alla scarsa visibilità e quindi assolutamente non volontario.
É possibile in qualche caso che la cooperativa richieda la somma per risarcire i danni?
Mi sorge questo dubbio in quanto si è soci, ma non partecipando agli utili vorrei sapere fino a che punto. Purtroppo lavorando gli imprevisti possono capitare e si spera di essere tutelati.

Risposta al quesito:
La Cooperativa, nella veste di datore di lavoro, deve assicurare condizioni adeguate di sicurezza per consentire l’ottimale rendimento lavorativo del socio lavoratore.
Le scarse condizioni di visibilità, pertanto, costituiscono una violazione della normativa sul lavoro, addebitabile alla Cooperativa, quale parte datoriale.
In ogni caso, il socio lavoratore risponde dei danni conseguenti alla propria attività solo nel caso di grave negligenza, che escluda la prevedibilità del rischio.
Nelle Cooperative di lavoro tutti i soci hanno diritto agli utili, secondo la disciplina del regolamento interno e delle leggi speciali.

Quesito del 25/08/2016

Mio padre è socio di una coop edilizia a proprietà indivisa che ha fruito del contributo erariale.
Già da alcuni anni il mutuo è stato interamente estinto e gli immobili sono stati costruiti e, da almeno quindici anni, assegnati, sebbene manchi ancora l’agibilità. Nel 2013 l’assemblea dei soci ha deliberato l’esecuzione di lavori di ristrutturazione volti proprio ad ottenere l’agibilità, iniziati solo qualche giorno fa a causa della morosità di due dei venti soci, incluso mio padre. Egli, infatti, trovandosi in precarie condizioni economiche, non ha versato le quote di sua spettanza (circa 8.000 euro in tre anni).
La coop intende procedere con la sua esclusione. Lo statuto prevede che i soci esclusi hanno diritto solo al rimborso delle quote interamente liberate, eventualmente rivalutate ai sensi dell’art. 7 della l. 59/92 e prevede altresì che tale rimborso non sia neppure dovuto se l’esclusione avviene per inadempienza alle delibere assembleari e per omesso pagamento delle somme a qualunque titolo dovute alla società.
Il presidente quindi gli ha informalmente comunicato che, a seguito dell’esclusione, avrà al massimo diritto alla restituzione della quota sociale versata per l’ingresso in società, pari a circa 30 euro, da rivalutare, e a null’altro, anche in virtù del fatto che tutte le altre somme sono state da lui versate a titolo di canone di godimento.
E’ mai possibile che si verifichi una simile situazione? A cosa avrà diritto in caso di esclusione?

Risposta al quesito:
Al socio di Cooperativa edilizia che recede per giusta causa sono dovute le somme dallo stesso versate a titolo di conferimenti, detratte le perdite pro quota, riportate nei bilanci approvati; sono dovute per intero tutte le somme versate a titolo di prestito ovvero anticipazione per il costo di costruzione dell’alloggio.
Nella Cooperativa a proprietà indivisa non sono rimborsabili tutti i canoni di godimento dell’alloggio.
Nel caso di esclusione per inadempienza del socio, la Cooperativa può pretendere il risarcimento del danno, che deve essere realmente provato.
Nel caso di specie, dunque, occorre esaminare attentamente le disposizioni statutarie, in quanto è molto probabile che esse si riferiscano alla quota di conferimenti e non coinvolgano le anticipazioni sul costo di costruzione (in caso contrario la clausola potrebbe essere invalida); occorre, inoltre, esaminare se si possa contestare l’esclusione e, soprattutto, l’inadempienza del socio.
Quest’ultimo potrebbe anche sostenere lo stato di necessità sopraggiunto e ridurre notevolmente l’eventuale obbligo risarcitorio.

Quesito del 22/08/2016

Circa 5 anni fa la Cooperativa di cui ero socio assegnatario ha deliberato con voto unanime dei soci e su istanza del Presidente, la vendita al sottoscritto di un vano tecnico, posto al piano terrazzo, visto che sarebbe rimasto inutilizzato, scopo deposito. I soci hanno incassato circa 1.200 euro cadauno come minor versamento da fare alla Cooperativa.
Oggi il Comune, per voce del dirigente Ufficio Tecnico, mi comunica che quel magazzino di 18 mq non poteva essere accatastato da privato ma solo come locale ad uso deposito del Condominio, prefigurando così un abuso edilizio o una illegittima assegnazione.
Come è mai possibile che il deposito che ho acquistato dai soci, regolarmente accatastato dalla coop come C/2, minuziosamente descritto nell’atto notarile, su cui pago IMU (seconda pertinenza C/2), tassa dei rifiuti, prefiguri da parte mia un reato penale, attesa la mia buona fede (e dei 25 soci che hanno firmato la vendita)? Sono sconcertato.

Risposta al quesito:
Il quesito pone due problematiche: l’una di natura pubblicistica, l’altra di natura privatistica.
La prima attiene agli aspetti penali e amministrativi dell’abuso, l’altra inerisce agli aspetti risarcitori per il vizio della cosa acquistata.
Quanto al primo aspetto, in sede penale non dovrebbero esserci conseguenze per l’acquirente di buona fede, essendo il reato contravvenzionale  imputabile al rappresentante legale della Cooperativa (il quale risponde anche del reato di falso per la dichiarazione resa nell’atto di assegnazione). In sede amministrativa occorre verificare se la situazione di abuso possa essere sanata con una variante, probabilmente con progetto ex art.13, predisposto da un tecnico professionista abilitato.
In ogni caso tutti i costi e i danni possono essere richiesti dall’acquirente alla Cooperativa venditrice.
Il pagamento dell’IMU non sana l’opera abusiva, anche se l’irregolarità è dovuta ad un progetto errato e l’acquirente dell’immobile è in buona fede.
Occorre, pertanto, regolarizzare l’opera secondo legge, salvi gli aspetti risarcitori sopra enunciati.

Quesito del 12/08/2016

Ho sottoscritto un preliminare di assegnazione di una villetta a schiera con una coop edilizia con un piano finanziario che prevedeva: euro 60.000 a carico del socio; euro 90.000 con contributo regionale agevolato. A lavori iniziati, dopo che il sottoscritto ha versato i 2/3 della somma dovuta, in una assemblea dei soci, ci viene comunicato che non è stato concesso il prestito agevolato e che pertanto si doveva provvedere con fonti proprie.
Chiedo: può la coop variare il piano finanziario? Può il socio recedere dal contratto e chiedere l’immediata restituzione della somma versata?

Risposta al quesito:
Nel caso di specie la variazione al piano finanziario è la conseguenza necessaria del rigetto del mutuo agevolato e, pertanto, non può che essere accettata dai soci in quanto non è un mutamento arbitrario del contratto mutualistico.
Restano, però, ferme le eventuali responsabilità degli amministratori nel caso di loro inadempienze significative ai fini del mancato ottenimento del contributo.
In tal caso i soci possono agire  a titolo risarcitorio.
Per quanto attiene al recesso, esso è regolato dall’art. 2532 del codice civile e dalle norme eventualmente derogative dello Statuto sociale.
Nel caso di specie, se la Cooperativa intende proseguire il programma anche senza il contributo agevolato, il socio dissenziente ha diritto al recesso (salva diversa disposizione dello Statuto) essendo mutate le condizioni contrattuali inizialmente poste.
Se, viceversa, tutti i soci intendono liquidare la società, in tal caso nessuno di loro può   sottrarsi all’obbligo di contribuzione delle spese per l’estinzione del sodalizio.