Quesito del 07/06/2016

Sono proprietaria di abitazione costruita su area PEEP da cooperativa edilizia costituita da soli appartenenti alle Forze dell’Ordine e finanziata dal Ministero dell’Interno con mutuo poi surrogato dalla banca con detrazione interessi passivi in quanto prima casa nel territorio nazionale.
La cooperativa è stata disciolta nel 2005 con registrazione della proprietà ad ogni singolo socio e riscatto del diritto di superficie dal Comune.
Sono sposata in regime di comunione dei beni, se io e mio marito acquistassimo altro appartamento in altro comune potremmo usufruire delle agevolazioni prima casa?

Risposta al quesito:
L’ipotesi prospettata riguarda l’acquisto di un nuovo immobile in un diverso Comune, da parte di coniugi in regime di comunione legale.
In linea generale, la titolarità, anche per quote o in comunione legale, di diritti di proprietà (come anche di uso, usufrutto, abitazione o nuda proprietà) su altro immobile sito nel territorio nazionale, acquistato usufruendo delle agevolazioni “prima casa”, impedisce di beneficiare nuovamente delle stesse agevolazioni.
Tuttavia, qualora l’immobile per il cui acquisto si è già usufruito dei benefici fiscali sia di proprietà di uno solo dei coniugi (perché acquistato prima del matrimonio o, comunque, in regime di separazione dei beni), l’altro coniuge, in occasione dell’acquisto in comunione dei beni del nuovo appartamento, potrà usufruire delle agevolazioni “prima casa” limitatamente alla propria quota (rispettando gli altri requisiti di legge).
In tal caso, quindi, è come se le predette agevolazioni fossero ridotte del 50%, in quanto ne potrà beneficiare uno solo dei due coniugi.
In ogni caso, va rilevato che, nell’ipotesi di vendita dell’immobile assegnato, potrà effettuarsi un nuovo acquisto, beneficiando ancora delle agevolazioni fiscali “prima casa” (sempre che ne sussistano i requisiti soggettivi ed oggettivi).

Quesito del 03/06/2016

Vorrei sapere se è possibile affittare un alloggio in cooperativa con contributo regionale prima dei cinque anni, in quanto lavoro da poco in un’altra regione, anche se conservo la residenza nella regione sede dell’alloggio.

Risposta al quesito:
Non è possibile procedere all’affitto dell’alloggio prima del quinquennio, a meno che non vi sia una specifica autorizzazione del Ministero, ottenuta a seguito di circostanziata istanza comprovante l’obbiettiva necessità di risiedere momentaneamente altrove.

Quesito del 31/05/2016

Sono erede di una quota di cooperativa edilizia a contributi pubblici che corrisponde ad un alloggio assegnato a mio padre nell’anno 1985.
La coop è stata gestita senza attenzione alle normative e infatti alcune quote sono state assegnate a soci non in possesso dei requisiti richiesti (essere dipendenti pubblici).
Dopo più di trent’anni dalla data di assegnazione il Min. LL.PP. chiede di predisporre gli atti formali di prenotazione e assegnazione quote “ora per allora” (non essendo mai stato fatto altro in merito a parte la scrittura sul libro soci), ma il presidente si oppone alla definizione della pratica per non danneggiare i due soci che non hanno diritto.
Tra l’altro il presidente stesso ha sottratto importi dal conto comune in vari modi tra cui la nomina di un amministratore suo amico che ha preso il doppio del dovuto (siamo ancora in polemica per ottenere la restituzione delle somme in eccesso) e non ha mai predisposto i verbali di assemblea nè un libro delle delibere.
Vorrei sapere in che modo posso tutelare i miei interessi, per riuscire a vendere l’appartamento: posso chiedere la regolarizzazione delle assegnazioni tramite tribunale e forzare il passaggio a proprietà individuale, e al limite la rimozione del presidente e del cda (posso provare tutte le accuse con le relative illegalità perpetrate in questi anni)?

Risposta al quesito:
Il procedimento di assegnazione dell’alloggio realizzato con il contributo pubblico è in parte di natura amministrativa, nel senso che occorre accertare l’esistenza dei requisiti soggettivi in capo ai soci prenotatari.
Tale procedimento è necessario e non può essere ignorato, sicché anche il ricorso al Giudice ordinario non sarebbe idoneo ad evitarne l’attuazione.
Si può, viceversa, ricorrere al Giudice ordinario per il risarcimento di tutti i danni subiti a seguito delle inadempienze dei soci ovvero degli amministratori, purché ne ricorrano i presupposti e non sia intervenuta la prescrizione.
Per quanto riguarda la rimozione del presidente del cda, se non è provocata dalla maggioranza dei soci, può essere ottenuta in sede amministrativa con la denuncia alla Vigilanza del Ministero, con contestuale richiesta di ispezione straordinaria e commissariamento della Cooperativa.
Per ottenere tale risultato, tuttavia, occorre che l’atto di denuncia sia circostanziato e suppartato probatoriamente.

Quesito del 31/05/2016

In riferimento al quesito del 27 maggio e alla sua gentile risposta Le confermo che nella convenzione viene richiesto l’esatto e completo adempimento di tutti gli oneri e obblighi e che la fideiussione ne è a garanzia.
In questo caso è possibile chiedere la riduzione della predetta penale, in ragione del parziale inadempimento?

Risposta al quesito:
Fermo restando che occorre esaminare gli atti, da quanto esposto si può genericamente dedurre che la fideiussione va escussa per intero.
L’eventuale riduzione della penale può essere disposta esclusivamente in sede giudiziale e, pertanto, occorre individuare i presupposti di fatto e di diritto che consentono di instaurare il giudizio.

Quesito del 29/05/2016

Sono socio di una cooperativa edilizia dal 1994. Questa cooperativa avrebbe dovuto costruire 24 villette bifamiliari tra cui la mia.
Abbiamo pagato a suo tempo tramite rogito notarile la parte per il lotto di pertinenza ed in seguito negli anni tutte le varie spese che annualmente ci competevano in seguito ai bilanci risultanti. Alcune case sono state costruite ed assegnate ai soci, altre non sono state terminate ed alcune tra cui la mia non sono mai state iniziate nonostante alcuni solleciti anche con raccomandate al presidente della cooperativa.
Ora ho saputo tramite stampa, che la cooperativa è fallita e le case non terminate ed i terreni ancora liberi da costruzione sono stati pignorati nel mese di dicembre 2015. L’asta di tentata vendita avverrà nel mese di luglio 2016.
Ora il quesito è il seguente:
Possiamo cercare di non perdere il lotto di terreno e le somme di denaro pagate alla cooperativa? Potremmo avere qualche diritto sulla vicenda?
Dalla cooperativa non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione dello stato di sofferenza. Come dobbiamo muoverci?

Risposta al quesito:
Occorre, innanzitutto, verificare se la Cooperative è stata dichiarata fallita ovvero è in Liquidazione Coatta Amministrativa.
Entrambe le procedure concorsuali, pur con alcune diversità, sono regolate dalla Legge Fallimentare (R.D. 265/42), le cui norme impongono la parità di condizione dei creditori.
In forza di quanto precede i soci concorrono alla distribuzione dell’attivo unitamente a tutti gli altri creditori, restando postergati rispetto  ai creditori privilegiati (ad es. crediti ipotecari).
I soci che intendono tutelare i propri diritti devono essere assistiti da professionisti altamente qualificati sia in relazione allo svolgimento della procedura concorsuale, sia in relazione all’eventuale azione da intraprendere in sede penale nei confronti degli ex amministratori per ottenere il risarcimento dei danni.

Quesito del 29/05/2016

Sono socio di una soc. coop. edilizia a mutualità prevalente e proprietà divisa in Roma, che ha partecipato al bando dei “20.000 alloggi in affitto”, per la parte in locazione permanente (poi passata a 25 anni) con beneficio per i soci dei finanziamenti pubblici pari a quasi un terzo del valore dell’alloggio assegnato.
All’entrata in coop. ho dovuto versare una somma X (giustificata come “spese di funzionamento e gestionali”) ed una somma Y (per alcune migliorie dell’alloggio); nel 2012 mi veniva chiesta una ulteriore somma Z (per gli interessi pagati dalla banca erogante il mutuo relativi alla cessione degli interessi di credito pro soluto…).
Dall’ottobre 2011 (data dell’ “assegnazione temporanea” dell’alloggio, poi definitiva con determina del C.d.A. della coop. del gennaio 2013), per quasi 4 anni abbiamo versato un canone di locazione -importo determinato dalla coop.- per coprire le rate di preammortamento/ammortamento mutuo (così era indicato in questo verbale di assegnazione temporanea dell’alloggio). Questo canone è stato versato fino ad aprile 2015, data di effettiva messa in ammortamento trentennale del mutuo, con importo mensile inferiore al precedente.
L’anno scorso, prima dell’assemblea ordinaria (che comprende anche i soci residenti in un altro piano di zona), noi soci dell’altro PdZ siamo stati convocati in assemblea, durante la quale ci sono state consegnate alcune schede riepilogative delle somme versate dal 2011 all’aprile 2015 e dei costi sostenuti dalla coop. in quegli anni.
In sostanza, i canoni mensili versati fino ad aprile 2015 non sono stati conteggiati in conto capitale dell’alloggio; la coop. ci ha addebitato spese per progettazione e direzione lavori, per incarichi professionali ad una società contabile (di cui è proprietario al 50% un cosiddetto “socio tecnico” della coop.), per polizze fidejussorie, opere urbanizzazione, sondaggi geognostici…. Dal conto finale ci è stato già scalato il costo dell’iva sui rogiti (la coop. vorrebbe farci fare un contratto di locazione 25ennale e un contratto di vendita a termine iniziale); infine risultiamo creditori di qualche migliaio di euro di iva… Inoltre, ci veniva consegnata la nuova tabella dei prezzi massimi di cessione alloggio, che dai 1.855 euro del 2011 erano passati a 1.940 euro.
Ai soci che hanno voluto recedere (gli ultimi l’anno scorso) sono state restituite soltanto le somme X, Y e Z di cui sopra, decurtate delle spese di risistemazione alloggio (che poi abbiamo scoperto, da ispezione contabile, essere state riaddebitate anche alla coop.); lo statuto prevede che “il recesso non potrà essere accordato fino a che non sia stato estinto il mutuo di costruzione o di acquisto della casa, nonché il pagamento delle spese sostenute per l’acquisto o la costruzione della casa assegnata”; e ancora “il socio receduto avrà diritto al rimborso del valore nominale delle somme versate, nonché delle rivalutazioni e dei dividenti…o del minor valore risultante dal bilancio dell’esercizio…”.
A tutt’oggi, non abbiamo ancora sottoscritto alcun contratto di locazione.
Tutto quanto premesso, per chiederLe questo consiglio: io voglio recedere e vorrei recuperare le somme versate; i conti presentatimi dalla coop. nelle “schede riepilogative” del 2015 mi sembrano essere a tutti gli effetti una documentazione extra-bilancio (ma allegate al verbale di quella assemblea); ed io non voglio sottostare a ricevere solo le quote X, Y e Z.
So già che nonostante il mutuo sia in ammortamento potrei recedere nonostante quanto scritto nello statuto.
Che ragioni posso far valere? A cosa/quanto potrei aspirare? Si potrebbe intervenire tramite “mediazione legale”?

Risposta al quesito:
Il caso merita l’adeguato approfondimento attraverso l’attento esame della documentazione sociale, in particolare dei bilanci e dei verbali di assemblea che hanno approvato le relative spese.
Può genericamente affermarsi che nelle Cooperative edilizie ai soci che recedano (se sussistano i presupposti di diritto) compete il rimborso di tutte le somme versate a titolo di anticipazione sul costo di costruzione, mentre non hanno diritto alla restituzione di tutti quegli importi che sono stati versati per spese generali ovvero per copertura delle perdite d’esercizio.
La mediazione è un Istituto prodromico all’eventuale giudizio, in cui un mediatore professionista tenta di mettere d’accordo le parti. Il tentativo, anche se non obbligatorio, se ben condotto dal legale del socio va, comunque, esperito.