Diritto del lavoro

PRINCIPIO DI PREVALENZA DEL VINCOLO ASSOCIATIVO SUL RAPPORTO DI LAVORO IN COOPERATIVA E RELATIVE CONSEGUENZE

Nelle Cooperative di produzione e lavoro il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte dei soci, secondo le modalità stabilite dal regolamento interno.
I soci lavoratori, quindi, oltre a contribuire economicamente alla formazione del capitale sociale, mettono a disposizione della Cooperativa anche le proprie capacità professionali, come prevede la specifica normativa contenuta nella Legge n. 142/2001 oltre che nel codice civile.
In particolare, agli stessi è demandata la possibilità di concorrere alla gestione dell’impresa ed all’organizzazione dei processi produttivi, con il riconoscimento dei diritti sindacali compatibili con lo stato di socio lavoratore nonché dei trattamenti retributivi e previdenziali proporzionati alla quantità e qualità del lavoro prestato e, comunque, non inferiori ai minimi previsti dalla contrattazione collettiva nazionale (per i lavoratori subordinati) o ai compensi medi per le prestazioni analoghe di natura autonoma.
La peculiarità sta, quindi, nella coesistenza tra il rapporto mutualistico, comune a tutte le tipologie di cooperative (che nel caso specifico si risolve nella possibilità di usufruire di occasioni di lavoro a condizioni più favorevoli a quelle di mercato), e quello lavorativo (che, a sua volta, può essere di varia natura), proprio delle cooperative di produzione e lavoro.
L’art. 1, comma 3, L. n. 142/2001 dispone, infatti, che “il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali”.
Nei confronti dei soci con rapporto di lavoro subordinato è applicabile lo Statuto dei lavoratori, fatta eccezione per l’art. 18 nel solo caso in cui “venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo” (art. 2, comma 1, Legge 142/2001).
Indipendentemente poi dalla tipologia contrattuale, l’art. 5, comma 2, L. n. 142/2001 prevede in ogni caso che “il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile. Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario”.
Con riferimento a tale ultimo capoverso, va precisato che l’interpretazione fornita dalla Suprema Corte (ordinanza n. 24917/2014) è attualmente quella di ritenere competente, in via generale, il Tribunale civile, sezione specializzata in materia di imprese, a meno che non si verta in ipotesi di connessione tra cause aventi ad oggetto il rapporto mutualistico e quello lavorativo di cui agli artt. 409 c.p.c. (controversie individuali di lavoro) e 442 c.p.c. (controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie).
In tal caso, infatti, la competenza sarà del Tribunale del lavoro ai sensi dell’art. 40, III comma, c.p.c..
Dalla lettura sistematica delle norme citate, emerge chiaramente come non sia possibile per il socio lavoratore, che sia uscito dalla compagine sociale per esclusione o recesso, mantenere il proprio rapporto di lavoro con la Cooperativa (e ciò anche in assenza di un ulteriore atto volto a formalizzarne la cessazione), in quanto la qualifica di socio rappresenta il presupposto stesso attraverso cui si realizza lo scambio mutualistico, secondo quel principio di prevalenza del rapporto sociale rispetto a quello lavorativo, ormai pacificamente accolto dalla giurisprudenza di legittimità:
“Analizzando il complesso delle disposizioni normative sopra richiamate questa Corte ha osservato (Cass. n. 14741/2011) che il legislatore ha qualificato il lavoro cooperativo come un rapporto caratterizzato dal concorso di una molteplicità di cause collegate ed ha, quindi, superato la cosiddetta teoria monista, secondo la quale la prestazione della attività lavorativa da parte del socio altro non era se non lo strumento attraverso il quale venivano perseguiti l’oggetto sociale e la soddisfazione dello scopo mutualistico.
Peraltro il legislatore, con la modifica apportata agli artt. 1 e 5 della Legge n. 142/2001, pur ribadendo la coesistenza, nella cooperazione di lavoro, di una pluralità di rapporti contrattuali e la conseguente irriducibilità del lavoro cooperativo ad una dimensione puramente societaria, ha voluto evidenziare che i rapporti medesimi sono legati da un nesso genetico e funzionale di interdipendenza, in ragione del quale il contratto di società costituisce un presupposto ineliminabile per la valida sussistenza del rapporto di lavoro subordinato del socio lavoratore”.
Cassazione Civile, Sez. Lavoro, n. 3836/2016
“Questa Corte ha perciò affermato che sussiste un rapporto di consequenzialità fra il recesso o l’esclusione del socio e l’estinzione del rapporto di lavoro, tale da escludere anche la necessità di un distinto atto di licenziamento”.
Cassazione Civile, Sez. Lavoro, n. 2802/2015 che riprende la motivazione di Cass. n. 14741/2011
“Il rapporto associativo è preminente rispetto al rapporto di lavoro, sussistendo una consequenzialità tra gli stessi. Per cui, in presenza di comportamenti lesivi di entrambi, non è necessario un distinto atto di licenziamento e, se il provvedimento di esclusione viene meno, il socio avrà diritto alla loro ricostituzione”.
Cassazione Civile, Sez. Lavoro, n. 9916/2016
Ne consegue che la delibera di esclusione, una volta divenuta definitiva, rende intangibile l’estinzione del rapporto lavorativo, così da far divenire irrilevante l’eventuale valutazione sulla legittimità del licenziamento.
Pertanto, al socio lavoratore escluso non rimarrà che opporsi alla delibera, entro sessanta giorni dalla relativa comunicazione, ai sensi dell’art. 2533 c.c., e ciò anche qualora le ragioni dell’esclusione siano ricollegabili proprio alla risoluzione del rapporto di lavoro (in tale ultima ipotesi è bene però ribadire che la competenza sarà del Tribunale del Lavoro, in ragione di quanto detto sopra).
Acclarato, quindi, come l’esclusione o il recesso del socio comportano automaticamente lo scioglimento del rapporto di lavoro (sia esso subordinato o autonomo) intercorrente con la Cooperativa, non rimane che chiarire i potenziali dubbi di natura pratico-applicativa.
Può accadere, ad esempio, che la Cooperativa, oltre a deliberare l’esclusione del socio lavoratore (come detto sopra, già da sola sufficiente a far cessare il rapporto lavorativo),gli intimi, contestualmente o con separato atto, il formale licenziamento (nel caso, ovviamente, di rapporto di lavoro subordinato).
Orbene, anche in tale peculiare ipotesi il socio lavoratore non potrà limitarsi a ricorrere avverso il solo licenziamento, bensì dovrà impugnare la delibera di esclusione, nella forma e nei termini tassativamente previsti dal succitato art. 2533 c.c., e ciò proprio in ragione degli anzidetti principi normativi.
L’eventuale azione giudiziale “autonoma” contro il solo provvedimento risolutivo del contratto di lavoro,innanzi al Tribunale del Lavoro secondo il rito “Fornero”, sarebbe, infatti, ritenuta carente di interesse (perciò inammissibile), in quanto il rapporto alle dipendenze della Cooperativa risulterebbe, comunque, irrimediabilmente cessato una volta divenuta definitiva la delibera di esclusione dalla compagine sociale.
“Da detti principi discende che, ove la esclusione venga disposta, il socio che contesti l’atto risolutivo dovrà necessariamente opporsi alla delibera, nelle forme e nei termini previsti dall’art. 2533 c.c., e ciò anche allorquando la società abbia intimato il licenziamento, giacché il difetto di opposizione rende definitivo lo scioglimento del rapporto sociale e produce gli effetti previsti dall’art. 5, comma 2, della Legge n. 142/2001, rendendo inammissibile per difetto di interesse l’azione proposta per contestare la legittimità del solo licenziamento”.
Cassazione Civile, Sez. Lavoro, n. 3836/2016
“In realtà i due rapporti che formano la complessa posizione contrattuale del socio lavoratore di cooperativa risultano collegati in base ad un nesso genetico e funzionale, tale per cui – in linea di principio – non può esistere l’uno senza l’altro, perché i due rapporti stanno o cadono insieme. Perciò in presenza di un’esclusione non impugnata non può essere dichiarata l’illegittimità del licenziamento né ripristinato il solo rapporto di lavoro, venendo in tal modo alterata la disciplina legale sulla complessa figura; all’interno della quale l’esistenza della posizione sociale è pregiudiziale rispetto alla nascita, allo svolgimento ed alla stessa esistenza in vita del rapporto di lavoro (nesso genetico e funzionale)”.
Cassazione Civile, Sez. Lavoro, n. 6373/2016
“Il che implica, fra l’altro, che, rimosso il provvedimento di esclusione, il socio avrà diritto alla ricostituzione del rapporto associativo e del concorrente rapporto di lavoro…”.
Cassazione Civile, Sez. Lavoro, n. 14741/2011 e negli stessi termini Cass. n. 14143/2012; Cass. 11548/2015
Un’altra questione di non indifferente rilevanza pratica è quella della necessità, ai fini dell’automatica cessazione del rapporto di lavoro, della rituale comunicazione al socio lavoratore della delibera di esclusione, e ciò indipendentemente dalla notifica dell’eventuale autonomo atto di licenziamento.
Solo in tal caso, infatti, il rapporto sociale potrà dirsi estinto con il conseguente scioglimento del contratto di lavoro, risultando priva di valenza giuridica la conoscenza in via di fatto dell’avvenuta esclusione.
“In sostanza, data la gravità degli effetti che scaturiscono dalla sua adozione, essendo la delibera di esclusione idonea ad estinguere ad un tempo sia il rapporto associativo sia il rapporto di lavoro, essa deve essere comunicata al lavoratore.
La soluzione appare rispondente sia alla disciplina generale ex art 2533, ult.comma. c.c.; sia, a maggiore ragione, a quella speciale ex L. 142/2001 per la valenza costituzionale rivestita del rapporto di lavoro la necessità della cui protezione non sarebbe per nulla garantita ove potesse prodursi la sua estinzione, anche ex lege, pur in difetto di qualsivoglia comunicazione al lavoratore dell’atto che la produce (ancorchè di natura societaria). Sarebbe poi, in ogni caso, illogico e paradossale che un atto con effetti estintivi duplici – che autorizza a non emettere alcun licenziamento per estinguere il rapporto di lavoro o che renderebbe carente di interesse la stessa controversia pendente sul licenziamento comunque già intimato – possa essere adottato senza essere neppure comunicato al lavoratore.
Pertanto, per quanto attiene la speciale figura del rapporto di lavoro del socio di cooperativa, la disciplina di legge (ex art. 2533 c.c.) va integrata nel senso che alla delibera di esclusione si applicano, in base ad una esigenza di coerenza logica e di sistema, quanto agli oneri di comunicazione, i medesimi principi valevoli per il provvedimento di licenziamento.
[…] Non costituisce comunicazione della delibera di esclusione la restituzione della quota sociale, né la sua produzione nel corso del giudizio avverso il licenziamento”.
Cassazione Civile, Sez. Lavoro, n. 6373/2016
Altrimenti, la comunicazione del solo licenziamento (nei confronti del socio lavoratore subordinato) avrebbe l’effetto di far cessare esclusivamente il rapporto lavorativo, con la conseguenza che in tal caso i rimedi avverso gli eventuali provvedimenti illegittimi e le relative tutele saranno quelli previsti dal rito del lavoro, come chiarito dalla giurisprudenza della Suprema Corte:
“Pertanto, per le ragioni fin qui addotte, in mancanza di qualsiasi comunicazione della delibera di esclusione, il procedimento contro il licenziamento segue il suo corso e dovrà essere trattato in quanto tale, come un normale giudizio su un caso di licenziamento. E non decorre alcun termine di impugnazione ex art. 2533 c.c.. Gli effetti descritti dall’art. 2 L. 142/2001 che precluderebbero l’applicazione dell’art.18; e quelli ancora più radicalmente estintivi previsti dall’art. 5 L. 142/2001 come mod. dalla L. 30/2003 (che precluderebbero l’applicazione di tutto l’apparato normativo formale, causale e remediale del licenziamento) presuppongono che la delibera di esclusione sia stata comunicata al lavoratore.
[…] Va poi avvertito che nel caso in esame non potendosi discutere della tutela da assicurare al socio lavoratore ex artt. 2 e 5 L 142/2001, stante la mancata comunicazione della delibera – non potendosi cioè riconnettere nessun effetto alla delibera di esclusione – la tutela da assicurare al lavoratore sarà quella normale che discende dal giudizio sul solo licenziamento”
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Cassazione Civile, Sez. Lavoro, n. 6373/2016
Per quanto riguarda, infine, l’anzidetta inapplicabilità dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori nei casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro subordinato sia contestuale allo scioglimento del vincolo sociale (sulla base del succitato principio generale di cui all’art. 2 Legge n. 142/2001), va, tuttavia, menzionato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, qualora l’esclusione si sia basata soltanto sull’intervenuto scioglimento del rapporto lavorativo (per esempio, in ipotesi di licenziamento disciplinare), l’eventuale dichiarazione di illegittimità del licenziamento stesso comporterebbe l’invalidità derivata della delibera di esclusione.
Così ragionando, la tutela prevista dall’art. 18 sarebbe pienamente applicabile, in quanto in tal caso il rapporto sociale non potrebbe considerarsi interrotto, stante l’illegittimità dell’esclusione: “Infatti il cit. art. 2 prevede che ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applichi lo Statuto dei lavoratori, compreso il relativo art.18, salvo che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo.
In altre parole, qualora il rapporto di lavoro non si sia risolto in ragione della cessazione del rapporto associativo, ma – al contrario – quest’ultimo sia cessato a cagione dell’intimato licenziamento del socio lavoratore (come avvenuto nella vicenda in oggetto), non ricorre la fattispecie eccettuata dal summenzionato art. 2 e, quindi, si applica la disciplina ordinaria di reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato”
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Cassazione civile, Sez. Lavoro, n. 3634/2017. In senso conforme: Cass. n. 1259/15; Cass. n. 17868/14; Cass. n. 6224/14; Cass. n. 14143/12.
Tuttavia, tale orientamento deve considerarsi ormai superato a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite (sentenza n. n. 27436 del 10.10.2017), con cui è stato ribadito che la mancata impugnazione della delibera di esclusione non consente mai la prosecuzione del rapporto di lavoro, nemmeno qualora sia riconosciuta l’illegittimità del contestuale licenziamento, ferma restando, in tal caso, la tutela risarcitoria (sull’argomento vedasi l’articolo che precede).