La rilevanza pubblicistica delle Cooperative rende costituzionalmente legittima la dichiarazione di insolvenza senza il previo accertamento dei requisiti soggettivi necessari per il fallimento. 

Con la Sentenza n. 93/2022, la Corte Costituzionale ha rigettato la questione di legittimità in merito alle norme che consentono l’accertamento dello stato di insolvenza della Cooperativa, senza la previa verifica della sussistenza dei requisiti soggettivi necessari per la dichiarazione di fallimento.
Ne consegue che anche le Cooperative di dimensioni minime in termini patrimoniali e finanziari, potranno continuare ad essere dichiarate insolventi, con le connesse conseguenze in tema di azioni revocatorie e fattispecie di reato (analoghe a quelle previste a seguito di fallimento).
La Corte non ha condiviso l’orientamento del Giudice rimettente, secondo cui l’identità delle conseguenze tra le due procedure avrebbe comportato una penalizzazione ai danni delle Società sottoponibili a liquidazione coatta (quali, appunto, le Cooperative) rispetto a quelle assoggettate al fallimento, in quanto soltanto per queste ultime è necessario l’accertamento dei requisiti soggettivi.
Ad avviso della Corte tale disparità non viola l’art. 3 della Costituzione, in ragione della diversità tra le Cooperative e gli altri soggetti economici, che a sua volta giustifica il differente trattamento giuridico adottato in caso di insolvenza: “come nel corso fisiologico della sua esistenza, così nella fase patologica della crisi, la società cooperativa, quand’anche esercente un’attività commerciale, non è perfettamente assimilabile a una società lucrativa, ma conserva rispetto ad essa profili di specificità, che non possono essere superati in forza di un generico richiamo alla parità di trattamento tra operatori economici”.
Non è da ritenersi violato neppure l’art. 45 della Costituzione, in quanto il favor nei confronti della cooperazione non equivale ad una “sommatoria di prerogative”, ma può consistere anche in maggiori oneri coerenti con l’impianto complessivo: “la tutela rafforzata del ceto creditorio e dell’ordine pubblico economico connessa all’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza della società cooperativa può agevolmente ricondursi agli «opportuni controlli» raccomandati dall’art. 45 Costituzione”.
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Cooperative e “caporalato”: la portata dello stato di bisogno dei soci lavoratori ai fini della configurazione del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

Con la Sentenza n. 24441/2021, la IV Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione ha chiarito i presupposti per la sussistenza dello “stato di bisogno” del lavoratore, quale elemento indispensabile per l’integrazione del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, previsto dall’art. 603-bis del codice penale.
In particolare, i Giudici di legittimità hanno ritenuto che lo stato di bisogno non debba necessariamente coincidere con una condizione di necessità che comporti la mancanza assoluta di libertà di scelta da parte del lavoratore, potendo viceversa limitarsi ad una situazione di grave difficoltà, anche soltanto temporanea, tale da indurre ad accettare le condizioni gravemente svantaggiose offerte dal datore di lavoro.
La pronuncia in esame, allargando di fatto il campo di applicazione del reato, rappresenta un precedente favorevole ai soci lavoratori ai fini dell’accesso alla tutela penale, che in materia di violazioni del lavoro è soltanto residuale rispetto a quella civilistica.
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