Quesito del 02/02/2018

Siamo due soci di una cooperativa edilizia a proprietà indivisa. Ci accorgiamo nell’anno 2001 che il Presidente del cda, in assenza di specifiche delibere assembleari o del CDA, nell’occasione di un incarico tecnico per un condono, sottoscrive al catasto l’attribuzione di porzioni di aree comuni (terrazzi, locali ad uso comune ed addirittura la sede sociale) ad alcuni soci, tra cui i tre componenti del collegio sindacale.
Si chiedono informazioni e l’ispezione della DPL Provinciale, solo dopo vari accessi, confermerà l’effettiva assegnazione di beni comuni a privati.
Nel frattempo il presidente ci convoca dal notaio per la stipula dei contratti di assegnazione in proprietà. Noi scriviamo al notaio ed al presidente che, al fine di evitare la cristallizzazione degli assetti proprietari, avremmo sottoscritto il contratto solo all’esito delle ispezioni richieste. Il presidente però, conducendo una campagna denigratoria verso di noi, propone la nostra espulsione al cda.
Il CDA delibera l’espulsione nel maggio 2003 e noi proponiamo ricorso al collegio sindacale, nell’ambito della procedura endoprocedimentale prevista dallo statuto e quindi non come collegio arbitrale. I sindaci non concluderanno mai il ricorso e la società ha impugnato lo statuto per sentir dichiarare nulla la clausola che prevede la procedura endoprocedimentale.
Solo nell’anno 2014 è arrivata la sentenza del Tribunale che respinge la richiesta della cooperativa. Nel frattempo la società ci chiede notevoli somme di denaro per addivenire alla stipula dei contratti. Noi ci siamo rifiutati perchè le somme richieste erano prive di titolo. La società ha proposto appello, per il quale ancora ci dobbiamo costituire.
Nel frattempo i soci e gli altri componenti del CDA hanno deliberato di chiudere il contenzioso assegnando l’alloggio, in cambio del reciproco impegno a non proporre azioni di responsabilità. Ciò però non varrebbe nei confronti del presidente, il quale metterebbe nero su bianco di non rinunciare a subire azioni di responsabilità in quanto in passato ci aveva querelato e successivamente alla sentenza di assoluzione, a suo dire, avrebbe fatto ricorso in Cassazione. Coltivando la speranza di un giudizio positivo in Cassazione, in caso di accordo non rinuncerebbe all’azione di responsabilità.
A questo punto siamo a chiedere se, con la delibera di riammissione noi soci, tornando ad avere tutti i diritti fino ad oggi negati, possiamo proporre azione di responsabilità verso l’unico amministratore senza immunità: il Presidente, contestando lui l’ammontare del patrimonio comune ceduto indebitamente ai soci, il danno che ci ha creato assegnandoci l’abitazione dopo 16 anni rispetto agli altri, la mancanza di un regolamento di assegnazione che disciplini le procedure ed i criteri di assegnazione degli alloggi e ripartizione del patrimonio?
Si chiede di valutare la fattibilità dell’azione diretta di responsabilità e l’eventuale costo, qualora Codesto Spett.le Studio sia disponibile per la Provincia di Siena.

Risposta al quesito:
Occorre, innanzitutto, distinguere tra le azioni civilistiche nell’ambito societario e le azioni penali, che sembra siano ancora in via di pronuncia definitiva.
Occorre, inoltre, verificare i termini effettivi della proposta di riammissione, sia dal punto di vista degli obblighi effettivamente imposti ai soci, sia in riferimento ad una non ben chiara rinuncia del presidente all’azione di responsabilità (rinuncia attiva o passiva? Quale effettiva portata?).
Ciò posto, nel caso di accordo con la Cooperativa (delibera del CdA) non è esclusa la possibilità che l’eventuale azione di responsabilità possa essere eseguita solo nei confronti di alcuni e non di altri amministratori.
E’ però, importante, valutare se, rispetto al l’evento dannoso, ci siano ancora oggi i termini per l’esercizio dell’azione di responsabilità (cinque anni dal fatto!).