Quesito del 07/10/2020

Gentile avvocato, vorrei avere da Lei un chiarimento, se possibile, riguardo i seguenti fatti.
Faccio parte, insieme a circa 15 colleghi, di una coop di produzione e lavoro dal mese di novembre del 2017, allorquando l’azienda subentrò alla consociata in ATI (posta in liquidazione), al 100% nella gestione di un appalto pubblico. Ci venne praticamente imposto l’ingresso come soci “in prova”, che secondo statuto non hanno alcun diritto di voto nelle deliberazioni assembleari, tranne per quanto concerne il bilancio. L’azienda ha corrisposto la 13ma mensilità (con ritardo), mai la 14ma e tanto meno i rol. Dal mese di luglio 2019 siamo passati a soci ordinari e tramite accesso agli atti sono venuto in possesso del libro soci (oltre 200 iscritti) e della adunanze.
In tale occasione vengo a conoscenza che la coop era in stato di crisi dal 2010, è soggetta a normativa spa e, nonostante abbia in attività gestioni pubbliche in 5 regioni, si definisce unica unità produttiva. Dai libri adunanze vengo a conoscenza che, ad aprile 2017, i soci ordinari hanno deliberato a maggioranza ulteriori dazioni e “imposto ai soci in prova” la rinuncia alle mensilità suppletive e ai rol. Questa informazione è stata totalmente omessa, allorquando ci venne proposto la sottoscrizione contrattuale. La cosa ha, di fatto, impedito la libera scelta di essere assunti, fino al termine dell’appalto, quali semplici dipendenti piuttosto in qualità di soci.
E’ legittimo che dei soci ordinari impongano dazioni (rinuncia volontaria) a soci che non hanno dritto di voto? La rinuncia non è un atto volontario?
E’ legittimo che tale imposizione sia valida anche a potenziali futuri soci, senza che costoro siano informati di tale deliberazione all’atto della sottoscrizione contrattuale?
Ancora, se da deliberazione assembleare TUTTI i soci ordinari hanno rinunciato alle mensilità suppletive, è legittimo che ad alcuni sia stata puntualmente corrisposta la 13ma mensilità, omettendo la cosa a tutti gli altri?

Risposta al quesito:
Il quesito prospetta l’ipotesi della lesione dei diritti patrimoniali dei soci lavoratori in prova, entrati in una Cooperativa già posta in stato di crisi.
In assenza dell’esame della documentazione menzionata nel quesito (delibere assembleari, contratto sociale e contratto di lavoro), è possibile esporre quanto segue, a titolo meramente generale.
Nelle Cooperative di lavoro, il principio della parità di trattamento tra i soci è derogabile dallo Statuto, che può prevedere, ai sensi dell’art. 2527 c.c., le categorie speciali di soci, quali, appunto, quelli “in prova”. Questi ultimi, essendo ancora nel periodo di formazione, possono essere assoggettati a trattamenti diversi rispetto a quelli previsti per i soci ordinari.
Sempre in via generale, l’Assemblea può deliberare un piano di crisi aziendale che preveda a carico dei soci apporti economici (anche in misura proporzionale alle capacità di ciascuno di loro) e/o riduzioni dei trattamenti retributivi integrativi, purchè ricorrano valide condizioni giustificative (come chiarito dal Ministero del Lavoro, occorre la prova dell’effettività dello stato di crisi, della temporaneità dello stesso, nonché dell’inevitabilità delle misure ivi previste). Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione ha aperto alla possibilità che il piano deroghi persino al trattamento retributivo minino previsto dalla contrattazione collettiva, sempre a patto che sussistano le anzidette condizioni.
Ovviamente i soci con diritto di voto devono essere messi a conoscenza del contenuto del piano di crisi anche con riferimento al limite temporale previsto. Per quanto riguarda specificamente coloro che facciano ingresso in Cooperativa durante lo stato di crisi, in questa sede ci si può limitare a rilevare che il socio all’atto della sottoscrizione del contratto associativo aderisce anche al Regolamento interno, che, ai sensi dell’art. 6 Legge n. 142/2001, deve prevedere la facoltà dell’Assemblea di deliberare lo stato di crisi aziendale.
Nel caso di specie, occorrerà valutare se la Cooperativa ha rispettato le disposizioni normative di cui si è fatto cenno sopra e, in caso contrario, se sussistono i presupposti per il recupero delle differenze retributive non corrisposte al socio.