Cooperative: casi e soluzioni

Quesito del 09/05/2016

Sono socio di una coop.edilizia agevolata, ho chiesto al suo amministratore, nonché presidente, urgentemente la convocazione di un’assemblea dei soci, nella quale vado a chiedere la consegna di documenti essenziali come statuto, regolamento e graduatoria dei soci (mai presentati e sottoposti alla sottoscritta e anche agli altri soci) proprio allo scopo di far chiarezza e verificare la regolarità di certe assegnazioni.
Vorrei sapere quanto tempo ha lui per convocare l’ assemblea e cosa legalmente si può opporre ne suoi confronti se non dovesse convocarla!!!

Risposta al quesito:
Per l’ottenimento della predetta documentazione non è necessaria l’approvazione dell’assemblea, in quanto ciascun socio ha diritto di ottenerla a semplice richiesta(lo Statuto può essere chiesto al notaio ovvero al Registro delle Imprese presso la locale Camera di Commercio).
Il presidente della Cooperativa, pertanto, può disattendere la richiesta di convocazione dell’assemblea, mentre se adeguatamente intimato, deve fornire copia della documentazione, addebitando le relative spese al socio richiedente.
In caso di mancato riscontro, il socio può agire in sede amministrativa, con esposto alla Vigilanza, ovvero in sede giudiziaria innanzi al Tribunale delle Imprese.

Quesito del 06/05/2016

Il quesito è inerente all’assegnazione d’un alloggio di edilizia convenzionata.
Sono socio d’una cooperativa edilizia indivisa, inizialmente dopo la modifica dello statuto, diventa individuale. La modifica dello statuto viene assunta in forma parziale in quanto la Regione non viene messa a conoscenza, non solo ma scopre nel 2013 questa modifica ed inizia subito la pratica per ottenere la restituzione del finanziamento erogato, così pure l’Amm.ne Com.le che non adotta alcun provvedimento, se non quello di recepire in modo informale la modifica dello statuto. Il C.d.A. gestisce in modo anomalo al punto che si giunge al commissariamento, il perito venuto a valutare gli immobili li quantifica in una somma X di gran lunga superiore al valore assegnato dal costo di costruzione, costo rilevato dagli atti in possesso presso l’U.T.C. che ha curato l’intera pratica edilizia e convenzione.
Convengo che il commissario deve realizzare la maggior quota per soddisfare i creditori, ma i soci dissentono perchè il prezzo imposto è come detto maggiore al costo di realizzazione. Aggiungo, che alcuni soci hanno versato somme corrispondenti al costo dell’alloggio, persino il presidente del c.d.a. faceva subentrare nel suo alloggio altro socio, a cui rilasciava uno scritto utilizzando la frase per cessione alloggio, previo corresponsione d’una somma molto onerosa, coprente gli importi, di quanto anticipato a titolo di partecipazione.
Dopo questa esposizione sintetica chiedo è giusto dover ripagare l’intero importo dell’alloggio? Possiamo opporci alla richiesta di acquisto alloggio al prezzo attualmente deciso da un perito, mentre la convenzione comunale tutt’ora valida riporta un costo di costruzione molto inferiore, concludo, quali soluzioni si possano adottare per salvare gli alloggi tra l’altro pagati al 99% e i soci vittime.

Risposta al quesito:
Occorre, innanzitutto, esaminare la situazione debitoria della Cooperativa e verificare quali siano le funzioni assegnate al Commissario, se gestorie ovvero liquidatorie.
Ciò posto, in via generale non sembra corretta la procedura della determinazione del prezzo di mercato degli alloggi, se l’ammontare dei crediti può essere soddisfatto con importi minori (esiste un errato indirizzo dei Commissari, secondo il quale si deve in ogni caso procedere alla valutazione degli immobili secondo il prezzo di mercato. Tale teoria è stata recentemente contestata con successo da questo Studio in favore di una Cooperativa con sede nel territorio Campano).
In ogni caso, i soci, con adeguata assistenza altamente specializzata, possono tentare l’ipotesi del Concordato di Liquidazione, che consente l’abbattimento dei crediti.

Quesito del 06/05/2016

Sono la coniuge di un militare socio di una Cooperativa Edilizia tra appartenenti alle FF.AA. e/o Polizia, a finanziamento INPDAP (già estinto), proprietaria del terreno e che, avendo raggiunto i propri scopi sociali ha ottenuto anche il N.O. da parte del MIT per lo scioglimento societario.
Tra l’altro abbiamo ottenuto anche provveduto alla modifica statutario da “indivisa” ad “individuale” e quindi abbiamo potuto procedere al rogito per l’assegnazione in via definitiva, tramite atto notarile, della proprietà dalla Cooperativa ai singoli Soci “assegnatari”.
Durante i preparativi per tale rogito, vigendo in regime di “separazione dei beni” con il mio coniuge, questi provvedeva ad esprimere ufficialmente, al Notaio, il proprio libero desiderio di voler cointestare l’appartamento in parti eguali con la sottoscritta.
Purtroppo, al momento della stipula dell’atto, presso lo studio del Notaio, questi negava tale possibilità adducendo che la Cooperativa non può effettuare, in caso di “separazione dei beni tra i coniugi” la vendita a persone diverse dall’assegnatario. Tale possibilità è invece “automatica” per i coniugi che vigono in regime di “comunione dei beni”.
Successivamente alla stipula dell’atto di proprietà in “esclusiva” a mio marito, venivamo a conoscenza da colleghi di mio marito, anch’essi militari e soci assegnatari in cooperative come la nostra, che a loro tale possibilità era stata accolta e regolarmente ufficializzata nell’atto. Infatti a detta dei loro Notai, per ottenere la cointestazione di un bene, una volta optata per il regime di separazione, bastava dichiarare esplicitamente all’atto di acquisito tale volontà, specificando anche la quota di comproprietà da assegnare.
Della cosa informavamo lo stesso nostro Notaio il quale rimaneva nella sua posizione/interpretazione nonostante gli avessimo portato copia dei passaggi di proprietà effettuati da altri. Facevamo notare, inoltre, che già in fase di “ingresso” in Cooperativa, il richiedente doveva “dichiarare” che nè lui nè altri appartenenti al proprio “nucleo familiare” erano proprietari di altre abitazioni o soci in altre cooperative nella stessa località.
Che senso avrebbe allora tale dichiarazione? A questo punto, visto che anche lo stesso art. 215 c.c. “Separazione dei beni” cita “I coniugi possono convenire che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio”, quindi con una chiara “possibilità” di scelta data ai coniugi a poter decidere l’esatto opposto, ossia di convenire alla condivisione di un bene, ed il TU 1165/1938 non prevede alcun espresso diniego a tale possibilità, le porgo il mio quesito:
Esiste un divieto “di legge” che precluda esplicitamente tale possibilità? In particolare, posso agire contro il Notaio, rivolgendomi al Notariato di Roma diffidandola per “incapacità” visto che, atti alla mano, altri suoi colleghi hanno ottenuto quanto richiesto senza opposizioni “interpretative”? Come devo comportarmi per ottenere quello, che a mio parere, è un mio diritto del singolo ma anche familiare?

Risposta al quesito:
Il notaio ha ritenuto che l’opzione di acquisto in comunione di un bene, permanendo il regime di separazione, impedisse l’assegnazione in quota al coniuge in quanto non socio della Cooperativa.
La predetta impostazione concettuale del notaio si basa sulla convinzione che il regime patrimoniale dei coniugi possa essere o di comunione dei beni ovvero di separazione dei beni.
Si ritiene, viceversa, che il Codice Civile regoli il predetto regime configurando tutte le diverse ipotesi, ivi compresa quella inerente alla scelta manifestata dai coniugi in un determinato momento.
D’altra parte, nella vigente normativa sull’edilizia cooperativa non esiste alcun ostacolo all’applicazione della succitata regola e, pertanto deve ritenersi valido l’atto di assegnazione eseguito in favore di entrambi i coniugi, i quali scelgano la comunione sul singolo bene.
Quanto alla ipotizzata azione di responsabilità contro il notaio, non sembra ci siano i presupposti, in  quanto il socio avrebbe potuto rivolgersi ad altri notai di cui conosceva la disponibilità all’esecuzione dell’atto.

Quesito del 06/05/2016

Sono socia assegnataria di un alloggio in una Cooperativa a proprietà INDIVISA che possiede uno stabile in Milano, costruito nel 1911.
Il Consiglio di Amministrazione ha recentemente deciso di procedere ad ingenti lavori di manutenzione straordinaria che interessano le sole parti comuni dell’edificio (compresa l’area delle cantine), nonchè il cortile dello stesso, senza che ci siano interventi sui singoli appartamenti nè sui singoli box auto disponibili.
Il CdA ha elaborato un prospetto di ripartizione degli addebiti a ciascun assegnatario da cui si rileva che viene applicato il criterio millesimale con la seguente composizione : A) millesimi dell’appartamento assegnato + B) millesimi del box auto e della cantina (laddove assegnati in godimento). In proposito va specificato che i box disponibili in assegnazione, in quanto di dimensioni ridotte, sono soggetti ad un certo turn over ad esempio quando un assegnatario, comprando un’auto più grande, è costretto a rinunciarvi.
Anche le cantine sono soggette ad una più limitata rotazione e a scambi fra soci. Nel cortile condominiale sono stati ricavati ed assegnati altri posti auto scoperti di dimensioni maggiori. Sia per i box che per i posti scoperti viene ovviamente pagato un canone di godimento di diversa entità.
Si domanda se non sarebbe più corretto ,nella ripartizione dell’addebito, conteggiare soltanto i millesimi dell’appartamento. Se invece la composizione millesimale adottata dal CdA è corretta, allora non dovrebbero essere conteggiati anche i millesimi dei posti auto scoperti nel cortile concessi in godimento?
E, più in generale, visto che per l’addebito delle spese si applicano i criteri del condominio (pur trattandosi di proprietà indivisa) non si dovrebbero allora conseguentemente adottare gli stessi principi del condominio anche a proposito delle maggioranze richieste per le decisioni di spesa?
Inoltre: per sostenere i costi di questi lavori straordinari la Cooperativa dovrà contrarre un mutuo ventennale il cui onere verrà integralmente riversato sui soli soci assegnatari (capitale+interessi). La domanda in merito è: alla luce delle più recenti normative di legge, la Società Cooperativa può fiscalmente recuperare almeno in parte l’onere di tali interessi? Se sì, è corretto che essi vengano invece caricati in toto agli assegnatari (e sempre applicando il criterio millesimale composto sopra descritto)?

Risposta al quesito:
Occorre, innanzitutto, esaminare attentamente il regolamento inerente alla ripartizione delle spese di manutenzione straordinaria degli immobili sociali ovvero gli specifici deliberati assunti in merito dall’assemblea (entrambi gli atti, se esistenti e validi, sarebbero imprescindibili).
In assenza di specifica regolamentazione, vige il principio della parità di trattamento tra i soci delle cooperative, che, nel caso di specie, si tradurrebbe nella imputazione delle spese in base all’effettivo vantaggio tratto da ciascun socio assegnatario.
In tal senso il criterio millesimale sembra corretto, mentre andrebbe approfondito il criterio inerente alle pertinenze, soprattutto per il fatto che esse sembrano usate solo momentaneamente dai soci e, peraltro, con turnazione.
Anche se esiste la deliberazione assembleare che ha richiamato i criteri di imputazione condominiali, permarranno comunque i sistemi amministrativi propri delle Società, con le maggioranze previste dallo Statuto o dal codice civile per le assemblee sociali.
Tanto le spese di manutenzione, quanto gli interessi di mutuo possono essere detratte pro quota dai soci assegnatari in uso, previa certificazione rilasciata dagli amministratori della Cooperativa.

Quesito del 06/05/2016

Le scrivo per sottoporle il caso di 2 persone a me molto care e vicine, le quali, purtroppo, in buona fede e con eccessiva fiducia nei confronti del parente che lo ha loro richiesto dicendo che si trattava di firme che non comportavano nessuna responsabilità, hanno firmato diverse carte in virtù delle quali abbiamo poi scoperto che sono state elette come consiglieri del consiglio di amministrazione di una cooperativa edilizia e sono risultate essere come coobbligati in solido in 2 polizze fideiussorie di cui in seguito darò spiegazioni.
E’ da precisare che non hanno mai percepito nessun tipo di compenso. La cooperativa è in edilizia economica popolare con fini mutualistici.
La vicenda si sta consumando nella provincia di Milano in un Comune dove, per l’edilizia economica popolare, era prevista la stipula della convenzione con il CIMEP, cosa che è regolarmente avvenuta a marzo del 2008 con contestuale emissione delle 2 polizze fideiussorie di cui sopra: una a copertura dell’esatto e completo adempimento di tutti gli obblighi previsti con svincolo progressivo mano a mano che i lavori sarebbero avanzati, mentre l’altra relativa alla concessione del terreno in diritto di superficie e ai relativi oneri ed obblighi.
Nell’estate del 2012 i lavori sono stati ultimati e, l’80% della polizza fideiussoria a garanzia dell’esatto compimento di tutte le opere, è stata svincolata lasciando a copertura il 20% della somma iniziale corrispondente a 93.500 euro. Di 30 appartamenti 29 erano stati prenotati da soci e di conseguenza verso fine 2012 sono iniziati i rogiti.
Fin qui tutto bene ma, arrivati a circa 13 unita abitative rogitate, i soldi che erano stati versati dai soci e che avrebbero dovuto consentire a tutti di andare al rogito sono finiti. Qui c’è da spiegare che l’accesso al conto corrente della cooperativa era consentito, su delega del presidente della cooperativa, all’imprenditore (che non è altri che il figlio del presidente della cooperativa) che, di fatto ha gestito tutta quanta l’operazione immobiliare.
Abbiamo il fortissimo sospetto se non la certezza che, sfruttando la delega ad operare sul conto corrente, abbia sottratto una notevole cifra, probabilmente oltre un milione di euro, che in parte ha dirottato su altre iniziative immobiliari e in parte ha speso per esigenze personali. Le 2 persone a me care hanno firmato, purtroppo nemmeno sapendo di cosa si trattasse, gli ultimi documenti relativi alla cooperativa nel 2008 tra cui le 2 polizze fideiussorie di cui sopra.
Dopo tale data non hanno firmato più niente e non hanno saputo più niente della cooperativa anche perchè è stato detto loro che la loro parte era finita e che ne erano fuori. Invece, a seguito della segnalazione da parte di uno dei 2 avvocati che stanno seguendo i soci che non hanno potuto rogitare, ad aprile 2015 siamo venuti a conoscenza del fatto che circa 15-16 famiglie non erano ancora riuscite a rogitare e che le 2 persone a me care risultavano essere consiglieri del consiglio di amministrazione della cooperativa in carica.
A questo punto ci siamo attivati e siamo stati in camera di commercio per vedere i documenti relativi alla cooperativa. Abbiamo scoperto che nel 2008 e nel 2012 le cariche di consiglieri sono state rinnovate durante le riunioni di assemblea con presenti anche tutti i soci. Le riunioni ovviamente sono avvenute solo su carta e, in camera di commercio, abbiamo trovato solo i verbali firmati digitalmente dal presidente della cooperativa, in cui si attesta la veridicità e la conformità del contenuto all’originale presente negli archivi della cooperativa.
Faccio notare che, le 2 persone a me care, non hanno mai controfirmato per accettazione il rinnovo delle loro cariche e, soprattutto, non hanno potuto partecipare ad assemblee che non si sono mai verificate e delle quali non sono mai state avvisate. Durante la ricerca in camera di commercio abbiamo inoltre trovato alcuni documenti precedenti al 2008 con alcune loro firme falsificate.
C’è da dire che, purtroppo, altre loro firme, fino al 2008 sono originali. Abbiamo comunque sporto denuncia segnalando la situazione e le firme false. Abbiamo poi scoperto che dal 2012 non sono più stati presentati più i bilanci. A luglio 2015 le 2 persone a me care, pur non avendo mai accettato e nemmeno essendo a conoscenza dei 2 precedenti rinnovi delle loro cariche, hanno rassegnato le dimissioni con raccomandata con ricevuta di ritorno e a dicembre 2015 le dimissioni sono finalmente andate a buon fine ed è stato eletto un nuovo consiglio di amministrazione con anche un nuovo presidente.
Arrivando al 2016 la situazione ha cominciato a precipitare. I circa 16 soci che devono ancora rogitare stanno cercando di contrattare con la banca la cifra da corrispondere mentre il comune ha fatto richiesta di escussione del 20% (93.500 euro) della garanzia residua per via del fatto che non tutti i rogiti sono stati effettuati entro 300 giorni dalla fine dei lavori come previsto, anche se non perentoriamente, dalla convenzione col CIMEP.
Si è provato a richiedere al comune una proroga di 120 giorni e ad opporre il fatto che comunque circa la metà dei rogiti erano andati a buon fine e che quindi non poteva essere richiesta l’escussione dell’intera somma ma entrambe le richieste sono state rifiutate. La compagnia di assicurazione ha quindi versato l’intera somma richiesta dal comune e stiamo aspettando di ricevere notizie sulla procedura di regresso che ne seguirà.
Abbiamo anche tentato di coinvolgere gli avvocati che seguono i soci che non hanno rogitato per provare a presentarci davanti al comune e contrattare la cifra richiesta, vista anche la situazione di difficoltà dei soci della cooperativa che di fatto, insieme alle 2 persone a me care, hanno subito una truffa. Però l’avvocato che segue tutti i soci tranne 1 è irreperibile e non è stato possibile avere la sua disponibilità per questo incontro, ma sono venuto a sapere che conta sul fatto che, essendo la cooperativa incapiente non pagherà e potrà lo stesso andare al rogito nel momento in cui verrà trovato un accordo con la banca, cosa che, comunque, speriamo assolutamente anche noi.
Così facendo però le 2 persone a me care rischiano molto seriamente di trovarsi a dover far fronte a tutti i 93.500 euro richiesti dal comune più tutto il resto che potrebbe conseguire da questa situazione. Inutile dire che è una situazione che sta letteralmente rovinando loro la vita e che comunque siamo molto preoccupati per le persone che stanno cercando di andare al rogito e che, per quanto possibile nella loro posizione, stanno cercando di collaborare affinchè tutto si possa risolvere più facilmente.
Purtroppo però, visto la linea che ha deciso di seguire l’avvocato che segue quasi tutti i soci, le 2 persone a me care potrebbero trovarsi nella sgradevolissima situazione di cercare di rivalersi sulla cooperativa per la cifra di cui il comune ha richiesto l’escussione, visto che la cooperativa è la contraente della polizza fideiussoria.
Premesso che la banca ha erogato un mutuo fondiario ed è creditore privilegiato, che cosa potrebbe succedere in caso cercassero di esercitare il diritto di regresso? Il fatto che circa 13 soci su 29 abbiano rogitato sfruttando le giacenze del conto della cooperativa è giusto nei confronti di chi invece si è visto richiedere nuovamente tutti i soldi che aveva già versato? Chi ha già rogitato può essere chiamato a rispondere di qualcosa? Più in generale quali potrebbero essere le altre conseguenze per le 2 persone a me care?

Risposta al quesito:
I due soggetti fideiussori sono certamente esposti alla rivalsa dell’assicurazione  e , pertanto, devono salvaguardare la propria posizione con grande accortezza e tempestività, ovviamente servendosi di assistenza professionale altamente specializzata.
Nonostante la Cooperativa sia strutturata come Società a responsabilità limitata , nel caso di specie sembra ci siano i presupposti per agire anche nei confronti dei soci che hanno già stipulato l’atto pubblico di assegnazione dell’alloggio.
E’, pertanto, consigliabile che, esaminati attentamente gli atti (in particolare il contratto fideiussorio e i contratti di assegnazione degli alloggi) i due fideiussori mettano immediatamente in  mora tanto la Cooperativa, quanto i soci assegnatari e i soci ancora  in attesa di stipulare l’atto pubblico.
Nella prevedibile ipotesi di mancato positivo riscontro, i due fideiussori (se escussi dall’assicurazione) dovranno dare corso all’azione giudiziaria in danno sia della Cooperativa che dei soci (nei confronti di questi ultimi con azione revocatoria).

Quesito del 05/05/2016

Premetto di essere un appartenente alle FF.AA., socio assegnatario (oggi proprietario in esclusiva) di un appartamento in una Società Cooperativa Edilizia a r.l. fra appartenenti alle FF.AA. e/o di Polizia.
Detta Cooperativa, inizialmente a “proprietà indivisa”, avendo i Soci saldato in toto il mutuo con l’ente erogante; avendo ottenuta la proprietà del suolo e non avendo più alcun vincolo verso enti terzi e/o amministrazioni dello Stato (ricevendo anche il nulla osta per le procedure di scioglimento da parte del MIT), è stata trasformata in “proprietà individuale” al fine di poter assegnare in via definitiva gli appartamenti ai Soci assegnatari. Nell’imminenza del rogito notarile, contestualmente all’assegnazione definitiva in proprietà individuale dell’alloggio di pertinenza, essendo in regime di “separazione dei beni” con la propria consorte, ho esplicitamente espresso (già ben un anno prima) al Notaio incaricato dalla Cooperativa, la mia volontà di poter cointestare lo stesso con la mia consorte.
Al momento della firma, questi mi comunicava che tale possibilità non era prevista per coloro che vigono in regime di separazione dei beni mentre lo è per i coniugi in regime di comunione.
A questo punto, dovendomi fidare di quanto espresso dal Notaio ho firmato l’atto di acquisto dell’appartamento assegnato solo a me medesimo in quanto, anche a detta del Presidente del CdA della Cooperativa, questa ha l’obbligo di consegnare gli alloggi in proprietà al “legittimo assegnatario” e quindi, secondo la loro interpretazione, “solo” al Socio assegnatario.
Successivamente, sentiti altri “colleghi” delle FF.AA. e FF.OO., anch’essi in regime di separazione dei beni e Soci in altre Cooperative Edilizie di stessa natura, venivo informato che, invece, a loro tale possibilità era stata accolta e che i loro Notai avevano provveduto alla registrazione della cointestazione dell’alloggio assegnato in proprietà anche alla consorte, trascrivendo la volontà del Socio, non ostandovi nelle norme di legge in vigore (R.D. n. 1165/1938 – “Testo Unico delle disposizione sull’edilizia popolare ed economica” e Codice Civile) alcun esplicito divieto, esclusione o limitazione. A questo punto e per quanto sopra, vista la molteplicità di “interpretazione” tra gli stessi Ufficiali preposti alla trattazione dell’atto, volendo contestare l’atto stipulato “controvoglia” (eventualmente anche in sede legale), nell’evidenziare che, quindi, esistono altri atti già ufficializzati/registrati in tal senso (tra l’altro anche lo stesso art. 215 del c.c. dispone “I coniugi POSSONO CONVENIRE che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio”, quindi una possibilitàche non escluderebbe il contrario), Le CHIEDO cosa sia previsto dalle norme di legge in merito sulla possibilità o meno di cointestare l’appartamento in fase di acquisizione dalla Cooperativa anche al coniuge in regime di separazione dei beni.

Risposta al quesito:
Il regime patrimoniale dei coniugi viene determinato in base alla loro  scelta esplicita al momento del matrimonio, ma può essere mutato nel corso del rapporto coniugale con dichiarazione resa innanzi al notaio e trascritta nei Registri dello Stato Civile.
Nel caso di assegnazione di alloggio cooperativo, l’immobile  viene trasferito al socio in base al regime patrimoniale in quel momento vigente, sicché, se l’assegnatario ha preventivamente adeguato il regime medesimo come comunione coniugale, nulla osta al trasferimento della proprietà individuale ad entrambi i coniugi.