Quesito dell’11/12/2017

Sono un socio assegnatario di cooperativa che è in stato di LCA. Il commissario liquidatore chiede che l’immobile che abito (non ho reddito e non ho dove abitare , essendo disoccupato) deve essere rilasciato tra 15 gg perché a suo dire essendo abitato non può essere facilmente venduto all’asta. Premetto pure che una prima volta mi ha chiesto il rilascio, ma mi ha fatto sottoscrivere a verbale che mi impegnavo ad acquistare prima del prossimo accesso e termine per il rilascio, concedendomi tre mesi per trovare la liquidità necessaria per acquistare l’immobile.
Premetto pure che mi ha anche fatto firmare che le somme giá a suo tempo da me versate quale acconto pari a 20.000 euro ed ammesse al passivo del procedimento di liquidazione, al chirografo, non possono essere compensate nel caso di acquisto.
Chiedo se esiste una tutela per l’assegnatario in tali casi, quantomeno per continuare ad abitare l’immobile, e quali azioni posso esperire nel caso in cui a suo tempo non è stata rilasciata la fideiussione per futura costruzione. E, comunque, se esistono ulteriori rimedi.

Risposta al quesito:
Ai sensi dell’art. 72 della legge fallimentare il Liquidatore può sciogliersi dal contratto di prenotazione dell’alloggio; in tal caso il socio diventa creditore vero la Procedura delle somme versate a titolo di anticipazione sul prezzo di assegnazione e perde ogni diritto sull’alloggio.
Nel caso di specie sembra che il Liquidatore, in un primo tempo non si sia sciolto dal contratto e lo abbia integrato con nuove convenzioni inerenti i tempi e le modalità di pagamento del prezzo.
Se il socio non ha rispettato le predette convenzioni, egli stesso non ha alcun titolo per occupare l’alloggio.
Il Liquidatore può dare corso al giudizio ordinario per il rilascio dell’immobile e il risarcimento del danno, ma può anche ottenere un sequestro giudiziario che accelererebbe i tempi dello spossessamento dell’immobile medesimo.

 

Quesito del 07/12/2017

Sono socio di una cooperativa edilizia che ha realizzato 12 alloggi di cui 6 ubicati a piano terra con ingressi indipendenti e 6 dislocati su piani secondo e terzo.
Per sanare degli abusi edilizi realizzati nel corso degli anni, non avendo mai ottenuto l’agibilità, il Comune ha imposto l’installazione dell’ascensore.
Il consiglio di amministrazione ha proposto la ripartizione delle spese secondo le tabelle millesimali comportanti, su un importo di euro 28.000, 300 euro per i 6 soci degli alloggi dislocati a piano terra e circa 4.500 per i restanti soci (cifre approssimative) per evidenziare la differenza notevole della ripartizione.
Lo scrivente sostiene, invece, che la suddetta ripartizione deve essere effettuata in parti uguali, visto che trattasi di una sanatoria.

Risposta al quesito:
Nelle Cooperative edilizie vige il principio della parità di trattamento dei soci, sicché ciascuno di loro deve versare il corrispettivo in proporzione alla prestazione mutualistica ricevuta, in modo che nessuno abbia un vantaggio economico a discapito di altri.
Nel caso di specie, il CdA ha proposto la ripartizione delle spese di installazione degli ascensori in conformità alle tabelle millesimali, che dovrebbero rispettare della destinazione d’uso del bene e del maggiore vantaggio di alcuni fruitori rispetto ad altri.
Se nei fatti, il parametro utilizzato dal CdA rispetta il principio della proporzionalità dei costi all’entità della prestazione mutualistica ricevuta da ciascun socio, in tal caso l’operato degli amministratori sembra corretto.
Il problema della “sanatoria” non appare comprensibile, posto che la prescrizione del Comune nulla toglie e nulla aggiunge alla metodologia di ripartizione dei costi in proporzione alla prestazione effettivamente ricevuta.

Quesito del 05/12/2017

Ho interrotto da maggio 2017 il mio rapporto con una cooperativa di servizi per lo spettacolo, in modo consensuale e su loro proposta. Rimane però una fattura a quanto pare non pagata da un cliente per cui ho svolto un lavoro insieme ad altri tre colleghi associati, di circa 9.000 euro (di cui solo 2000 pagati come anticipo), ora che sono fuori coop (e dopo mesi di silenzi da parte loro), ho chiesto di essere pagato, per la mia percentuale, che d’accordo con gli atri ex collaboratori è stata quantificata in euro 1.500 netti.
La domanda: è mio diritto chiedere questi soldi, ora che non sono più socio e non avendo garanzie di essere ricontattato da questa cooperativa?

Risposta al quesito:
Occorre, innanzitutto, distinguere tra il rapporto intrattenuto come socio e il rapporto contrattuale per prestazioni rese alla Cooperativa da esterno.
Nel primo caso, il socio ha svolto lavoro dipendente nell’ambito del rapporto sociale e, pertanto, occorre verificare il saldo dei reciproci debiti e crediti tra la Cooperativa e l’associato.
Se il saldo è a favore di quest’ultimo, lo stesso è tutelato dalle norme sul lavoro dipendente e, se può provare il proprio credito, può ottenere un decreto ingiuntivo emesso dal Giudice del Lavoro.
In tal caso, tuttavia, è necessario esaminare il deliberato che ha sancito la cessazione del rapporto di lavoro, in quanto se esso ha imposto un qualche versamento a carico del socio, in mancanza di opposizione da parte di quest’ultimo, la Cooperativa può chiedere la compensazione del proprio debito di lavoro con il credito vantato in ragione del deliberato medesimo.
Nell’altra ipotesi, quella del libero rapporto esterno, cioè privo di vincolo sociale, il creditore può ottenere un decreto ingiuntivo nei confronti della Cooperativa, a condizione che possa provare per iscritto il proprio credito (ad esempio con il contratto); nel caso contrario può instaurare un giudizio ordinario per ottenere la sentenza di condanna della Cooperativa debitrice.

Quesito del 04/12/2017

Il quesito è il seguente: Tizio molti anni fa ha ottenuto in provincia di Taranto un alloggio a proprietà indivisa con riconoscimento di un contributo semestrale. Lo stesso ha abitato lì sino al febbraio 1992 per poi farvi ritorno nel dicembre 1998, circa sei anni e mezzo dopo. Nel 2015 riceve una nota da parte della Regione Puglia con la quale si intima il recupero della contribuzione dal 1992 sino all’estinzione del mutuo in quanto il diritto alla contribuzione stessa è cessato al momento dell’inadempienza dell’abbandono dell’alloggio sociale.
Possono chiederne la restituzione?
L’abbandono dell’alloggio e il successivo rientro costituisce inadempienza tale da far perdere il diritto al contributo anche una volta rientrato?
Il diritto a chiedere la restituzione non è a prescrizione decennale?

Risposta al quesito:
Da quanto enunciato si può comprendere che la Regione Puglia ha revocato il contributo pubblico in ragione della presunta mancanza del requisito essenziale della residenza nell’alloggio da parte dell’assegnatario. Occorrerebbe, però, approfondire se l’allontanamento dall’alloggio si possa effettivamente considerare rinuncia alla residenza ovvero se esso sia stato dettato da momentanee esigenze familiari o di lavoro.
Per quanto riguarda la prescrizione inerente alla restituzione del contributo percepito, essa è decennale e decorre dalla estinzione del mutuo e dalla conseguente cessazione del contributo.

Quesito del 02/12/2017

Cooperativa in crisi e con poco lavoro ha invitato un dipendente amministrativo a svolgere un lavoro di responsabile banconiere, ma con stesso inquadramento e retribuzione (lavoro che svolgeva prima dell’ assunzione da noi) nell’unica attività rimasta ma a 70 km dalla sede legale. Nessuno di noi lavora in sede!
Si rifiuta e viene licenziato. Con ricorso il Giudice ci condanna per demansionamento e licenziamento ritorsivo (abbiamo fatto appello). Viene riammesso per ordine del Tribunale con la vecchia mansione, ma lui non rientra optando per 15 mensilità più 12, più tutti gli stipendi dal licenziamento al reintegro.
La sua scelta ora comporta il licenziamento e l’esclusione da socio e lui ora vuole comunque accedere al controllo di tutti i documenti della Cooperativa, bilanci, fatture, libri sociali, c/c, e ogni documento esistente compreso la posta per trovare appigli e promuovere azione di responsabilità contro l’ amministratore per dispetto.
Ha tale diritto anche se ora viene licenziato e escluso da socio? Che tempo ha di controllo e di cosa?

Risposta al quesito:
Alle Cooperative sono normalmente applicabili le norme sulle SPA (in quanto compatibili), ma lo Statuto può prevedere l’applicazione delle norme sulle SRL se ricorrono i presupposti di dimensione.
Ne primo caso i “controlli” sono affidati al Collegio sindacale ovvero al Revisore esterno e i soci hanno limitati poteri di accesso (libro soci, libro assemblee); nel secondo caso i soci hanno facoltà di accesso anche alle informazioni contabili.
Nel caso di specie, quindi, occorre verificare la tipologia della Società al fine di valutare i diritti del socio.
In ogni caso, il socio escluso può agire con azione di responsabilità individuale qualora ci siano i presupposti del danno diretto inferto dall’attività illecita degli amministratori.
In tale ipotesi, l’accesso sarebbe consentito al tecnico nominato dal Tribunale, limitatamente all’accertamento dei fatti e delle circostanze inerenti il predetto danno.
Il danno di cui si tratta riguarda, comunque, l’attività e il rapporto sociale e non si identifica con il danno del rapporto mutualistico, accertabile e valutabile in base alle norme giuslavoristiche.
Appare utile rammentare che la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha recentemente confermato il principio secondo cui la mancata impugnativa della delibera di esclusione, da parte del socio lavoratore, rende definitivo lo scioglimento del rapporto lavorativo (fatto salvo l’eventuale risarcimento).
A tal proposito si segnala l’approfondimento sul tema, all’interno della pagina del sito dedicata al diritto del lavoro.

Quesito del 22/11/2017

Sono il presidente di una cooperativa edilizia per appartenenti alle FF.AA. e/o di Polizia, che ha fruito del contributo dello Stato. Alcuni anni orsono, a seguito del collaudo da parte dell’incaricato del Ministero dei Lavori Pubblici, è stato acquisito il Nulla Osta al M.E.I. con annessa la tabella millesimale. Detta tabella, per intervenute variazioni nelle assegnazioni dei posti auto, è stata rielaborata ed approvata all’unanimità dall’assemblea dei soci.
A distanza di tempo due soci si sono opposti ed asseriscono che la nuova tabella millesimale non ha valore perchè illegittima e pretendono di ritornale alla situazione precedente. Secondo i due soci che si oppongono, l’unica tabella millesimale avente valore legale è quella annessa al Nulla Osta del Ministero. Preciso che Il mutuo è stato contratto con banca privata.
Dovendo procedere al frazionamento del mutuo ed al successivo rogito per la definitiva assegnazione del mutuo individuale, desidero sapere se la tabella millesimale deliberata dall’assemblea dei soci ha validità oppure hanno ragione i due soci che si oppongono ed è valida esclusivamente la tabella approvata del Ministero.

Risposta al quesito:
Occorre distinguere due fasi, la prima antecedente e la seconda successiva all’assegnazione definitiva con atto pubblico.
Nella prima fase le Cooperative possono costituire un “condominio di gestione”, sostanzialmente provvisorio, con il compito di amministrare le parti comuni; nella seconda fase il condominio viene in essere con il trasferimento della proprietà individuale, mediante la stipula del rogito notarile.
Al predetto atto pubblico deve essere allegato il regolamento di condominio e, soprattutto la tabella millesimale munita di nulla osta ministeriale.
In via definitiva, dunque, la tabella dei millesimi condominiali assume natura contrattuale e, pertanto, risulta modificabile all’unanimità.
Nel caso di specie, stante la modifica accettata da tutti i soci, non v’è dubbio che nella prima fase prevalgano certamente le ultime tabelle; mentre nella seconda fase appare necessaria solamente una operazione formale incombente agli amministratori, cioè riproporre le nuove tabelle per il nulla osta ministeriale, posto che esse devono essere allegate al rogito notarile di ciascuna assegnazione.