Cooperative: casi e soluzioni

Quesito dell’11/02/2019

Sarei interessato a ricevere informazione per la costituzione di una cooperativa sociale mirata a persone svantaggiate nell’area nord della provincia di Napoli.

Risposta al quesito:
Il quesito fa riferimento alle cooperative sociali di tipo B, che svolgono attività volte alla formazione ed all’inserimento lavorativo delle “persone svantaggiate” ai sensi della Legge 381/1991.
Con tale ultima definizione si intendono “gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, le persone detenute o internate negli istituti penitenziari, i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all’esterno ai sensi dell’articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni”.
La summenzionata Legge regolatrice della materia stabilisce che le persone svantaggiate “devono costituire almeno il trenta per cento dei lavoratori della cooperativa e, compatibilmente con il loro stato soggettivo, essere socie della cooperativa stessa”.
Come specificato dall’INPS, le succitate condizioni personali devono risultare da attestazioni provenienti dalla Pubblica Amministrazione.
Lo stesso INPS ha anche chiarito che la predetta percentuale si riferisce ai soli lavoratori della cooperativa (con posizione previdenziale attiva), restando, quindi, esclusi i soci volontari (i quali, in ogni caso, non possono eccedere la metà della compagine sociale).
L’Istituto di previdenza ha, altresì, precisato che nella base di calcolo non vanno inclusi gli stessi lavoratori svantaggiati (la percentuale del 30% andrà, quindi, applicata non sul totale effettivo dei lavoratori, bensì soltanto su quelli non rientranti nella predetta categoria).
Inoltre, secondo le indicazioni fornite dal Ministero del Lavoro, il suddetto vincolo numerico è da intendersi come media in un dato arco temporale e non come requisito necessariamente costante. E’ ciascuna Regione, infatti, a poter stabilire il periodo entro cui tale percentuale debba essere eventualmente ricostituita (qualora non sussista la normativa regionale, il periodo non può eccedere i 12 mesi).
Per quanto riguarda la costituzione della società, sono necessari l’atto notarile e l’iscrizione nel Registro delle imprese, nella sezione riservata alle imprese sociali, in quanto le cooperative sociali ed i loro consorzi assumono ex lege la qualifica di impresa sociale.
In ragione di ciò, la recente interpretazione normativa fornita dal MISE ha escluso che le cooperative in questione siano soggette al rispetto dei nuovi requisiti previsti in via generale per ottenere la qualifica di impresa sociale.
Tra i numerosi benefici di cui sono destinatarie le Cooperative sociali, oltre a quelli di natura fiscale (previsti in gran parte nel Codice del Terzo settore), si segnalano anche le agevolazioni contributive a fronte delle retribuzioni corrisposte ai lavoratori appartenenti alla categoria delle persone svantaggiate.
In particolare, le aliquote contributive sono ridotte del 95% relativamente ai lavoratori detenuti ed internati, agli ex degenti degli ospedali psichiatrici giudiziari, ai condannati ed agli internati ammessi al lavoro all’esterno. Per le altre tipologie di lavoratori svantaggiati, le aliquote sono addirittura azzerate.
Si rileva, infine, che le cooperative in esame possono stipulare convenzioni con enti pubblici anche in deroga alla disciplina in materia di contratti con la Pubblica Amministrazione, seppur nel rispetto delle Linee guida fornite dall’ANAC.

Quesito del 10/02/2019

Una cooperativa edile può ristrutturare abitazioni di un privato?
È vero che, in questo modo, fa attività d’impresa a scopo di lucro, e quindi posso fare un esposto? Se si, a chi?
Vorrei farla chiudere, perché gli ho affidato dei lavori che ho saldato e non li ha terminato e si rifiuta di restituirmi i soldi.

Risposta al quesito:
Da quanto enunciato sembra che la Cooperativa in questione sia di lavoro, sicché è consentito che svolga attività produttiva, che non comporta necessariamente lo scopo di lucro.

Quesito del 09/02/2019

Egregio avv. sono socio di una coop. edilizia nata a proprietà indivisa e dal 2014 trasformata a proprietà divisa, acquisendo l’area di sedime mentre l’area di pertinenza (verde e strade) è ancora vincolata con il Comune dalla convenzione, preciso che tutte le spese per urbanizzare l’area sono state totalmente a carico dei soci della coop.
Avendo esaurito lo scopo sociale, non avendo più progetti di costruzione e non avendo vertenze legali nè crediti/debiti verso altri, è possibile estinguere la società nonostante il vincolo dell’area in concessione?
E’ possibile traferire la convenzione al condominio legalmente costituito?

Risposta al quesito:
Occorre verificare il testo dell’atto di Convenzione, ma normalmente la concessione viene emanata in favore della Cooperativa con l’espressa previsione che essa si trasferirà ai soci assegnatari con l’atto pubblico di trasferimento della proprietà individuale.

Quesito dell’08/02/2019

Egregio avvocato, desidero sottoporLe alcuni quesiti.
Premetto che: sono socia di una cooperativa edilizia a responsabilità limitata a mutualità prevalente, il cui scopo sociale è la realizzazione di alloggi da assegnare ai soci in proprietà divisa. La predetta cooperativa fa capo ad un Consorzio di Cooperative. L’amministratore dovrà porre la cooperativa in liquidazione volontaria in quanto non è stato possibile reperire, all’interno della compagine sociale 2 membri che entrassero a far parte del consiglio di amministrazione.
La cooperativa ha realizzato 18 appartamenti e relative pertinenze, 2 box, 2 cantinole e 5 locali commerciali. Al momento 15 appartamenti e relative pertinenze sono state assegnati, nel 2016, ai 15 soci della cooperativa, 3 appartamenti e relative pertinenze sono state cedute (nel 2016) al costruttore al fine di saldare il debito derivante dall’appalto per la costruzione. Sono ancora in capo alla cooperativa i 5 locali, 2 box e 2 cantinole.
Per la costruzione del complesso edilizio la Cooperativa ha contratto un mutuo di 2.207.000,00 dando in garanzia i terreni acquistati per la costruzione, ogni socio ha altresì dato una fidejussione pari al mutuo che ogni socio avrebbe accollato al momento dell’assegnazione. Nel 2016 sono stati fatti gli atti di assegnazione con conseguente accollo da parte dei soci assegnatari di quote del mutuo originario.
La Banca ha rilasciato ad ogni socio uno svincolo della fidejussione rilasciata alla stessa banca nell’interesse della cooperative di cui riporto il testo “La fideejussione da lei rilasciata in data 22/7/2013 nell’interesse della coop … valida sino alla concorrenza di € … è da intendersi, dalla data del 25/3/2016 (data dell’atto di assegnazione), priva di efficacia. Resta ferma, relativamente al periodo in cui ha spiegato efficacia la fidejussione, la Sua responsabilità per le obbligazioni che dovessero emergere a seguito di revoca o annullamento o inefficacia di pagamenti e/o versamenti effettuati da coop. o da terzi per suo conto ad estinzione della posizione da lei garantita”.
E’ rimasto a carico della cooperativa il mutuo gravante sui cespiti non assegnati e/o venduti e cioè 5 locali + 2 box + 2 cantinole, che la cooperativa ha pagato tramite versamenti mensili dei 15 soci.
Premesso quanto sopra Le chiedo: qualora, come sembra abbastanza probabile, alcuni soci rifiutassero di continuare a pagare il mutuo e altri debiti tributari derivanti dalle gestione (pessima) del precedente CDA, quali sarebbero i rischi per la cooperativa?
Se la banca decidesse di vendere i cespiti ancora in capo alla cooperativa e il ricavato non bastasse a coprire l’intero importo del capitale residuo potrebbe, la stessa banca, rivalersi sui singoli soci alienando gli appartamenti assegnati (per tutti i soci corrisponde ad abitazione principale) in virtù di quanto indicato nella seconda parte dello svincolo della fidejussione?
La banca potrebbe richiedere l’eventuale differenza ai soli soci che non hanno più voluto pagare il mutuo o si rivarrebbe su tutti i soci solidalmente con la cooperativa? L’attuale amministratore (futuro liquidatore) può obbligare i soci a pagare il mutuo ricorrendo a ingiunzioni di pagamento?

Risposta al quesito:
Da quanto enunciato nel quesito sembra che la Banca abbia rilasciato la dichiarazione di cessazione dell’efficacia della fideiussione contestualmente alla stipula dell’atto di assegnazione definitiva ai soci prenotatari.
Nella predetta dichiarazione sembra che la Banca si sia riservata il diritto di credito verso il socio assegnatario, ma esclusivamente alla revoca, annullamento o inefficacia dei pagamenti eseguiti, che non sembrano interessare eventuali obbligazioni sociali residue.
Rispetto a queste ultime, quindi, i soci non dovrebbero rispondere di alcunché (salvo specifici deliberati assembleari definitivi), posto che la Cooperativa è una società con responsabilità limitata al capitale sociale.
La Banca non ha azione diretta verso i soci assegnatari, fatta eccezione per le eventuali quote ipotecarie gravanti sugli immobili.

Quesito del 04/02/2019

Il bando del Comune di Monopoli ai sensi dell’art.5 del regolamento ERS come da L. 457/78 art.25 n.2 prevede l’assegnazione delle aree mediante bandi di concorso differenziati per categorie (enti pubblici- cooperative edilizie – imprese di costruzione-singoli privati).
Il Comune ha ignorato quanto previsto sia dal regolamento e sia dalla Legge permettendo la partecipazione indiscriminata alle Cooperative edilizie e alle imprese di costruzioni assegnando il lotto a quest’ultima. L’Amministrazione Comunale ha agito legittimamente?

Risposta al quesito:
La norma prevede che i “concorsi” siano diversi a seconda della categoria per cui son banditi.
Nel caso di specie, però, occorre verificare se il Bando, pur essendo unico, diversifichi i criteri e le regole per ciascuna categoria.
In caso affermativo, il Bando sarebbe legittimo in quanto avrebbe rispettato la diversità dei criteri.

Quesito del 04/02/2019

Gent.mo avvocato, a Luglio 2018 ho inviato per raccomandata il recesso dalla società cooperativa sociale di cui facevo parte e, di conseguenza, dalla carica di vicepresidente della stessa per via dell’impossibilità di partecipare alla vita cooperativa dovuta alla nascita di mio figlio. Mi sono anche licenziata da lavoratrice della stessa cooperativa. In realtà pensavo già da diverso tempo di recedere per via della totale incapacità della Presidente di amministrare.
Nel periodo in cui è stato Amministratore unico ha creato notevoli criticità e anche quando ad Aprile 2018 abbiamo creato il consiglio direttivo, la situazione non è cambiata in quanto le decisioni erano prese solo da lei ma legalmente ne rispondevamo in tre.
Nel mese di Settembre ricevo una pec in cui veniva rifiutato il mio recesso motivandolo con il fatto che, secondo la presidente, dopo il mio recesso motivato per impossibilità a lavorare per motivi familiari e personali, sarei stata disposta ad aprire un’attività concorrente (cosa non veritiera).
Ad oggi non ho nessuna attività e vorrei capire cosa posso fare per ottenere le dimissioni da codesta cooperativa anche perché vorrei essere libera da responsabilità legate all’attività della cooperativa che prosegue le attività nonostante debba pagare stipendi arretrati per diversi mesi a parecchi dipendenti e soci, me compresa e pare investa in nuovi servizi e attività. Nonostante ciò ho preferito dimettermi non per giusta causa per evitare conseguenze alla cooperativa.
Inoltre le chiedo: può il Presidente da solo o con la votazione degli altri soci decidere di non accettare le dimissioni senza far capo al consiglio direttivo di cui faccio parte anche io?

Risposta al quesito:
Nel caso di Cooperativa di lavoro esistono due rapporti: quello sociale e quello mutualistico contrattuale.
Riguardo a quest’ultimo, il socio può comunicare l’impossibilità di eseguire la prestazione per motivi oggettivi (di salute, familiari etc.); la predetta comunicazione equivale alle dimissioni del lavoratore in generale e sconta i termini di preavviso previsti dalla legge.
Possono anche essere rassegnate le dimissioni da socio e, in tal caso, si estingue anche il rapporto mutualistico, fatti salvi i termini di preavviso.
Il CdA deve comunicare al socio dimissionario l’accoglimento o il rigetto della domanda, entro 60 giorni dal ricevimento della stessa.
Nel caso di mancata comunicazione protratta nel tempo il recesso di intende implicitamente accolto.
Nell’ipotesi di rigetto il socio deve impugnare il provvedimento innanzi al Tribunale competente, sostenendo le condizioni di fatto e di diritto che legittimano il recesso , avuto riguardo anche alle norme statutarie.
I deliberati sulla domanda di recesso devono essere assunti collegialmente dall’organo amministrativo.