Cooperative: casi e soluzioni

Quesito del 06/12/2021

Da qualche anno faccio parte di una cooperativa edilizia. Ancora non è stato fatto l’accollo del mutuo per singolo socio. Abbiamo concluso e dato tutta la somma prevista dal piano finanziario. Tuttavia la cooperativa e l’impresa hanno richiesto altre somme di denaro con diverse giustificazioni (più o meno plausibili), e tutti i soci abbiamo dato queste quote.
Ad oggi gli alloggi sono completi ma l’impresa ha deciso di non dare le case perché manca l’ultimo SAL della banca, la quale lo darà solo a chiusura cantiere (momento dal quale potrebbero passare anche 6 mesi).
La mia domanda è: l’impresa può decidere di non dare gli alloggi se ciò che manca non dipende dai soci ma dalla banca?
Inoltre la banca è legata alla loro fine lavori. Cerco veramente serie risposte a questa storia senza fine.

Risposta al quesito:
Occorre comprendere perché non esiste la fine dei lavori attestata dal Professionista che li dirige su mandato della Cooperativa.
Occorre, dunque, rivolgere la domanda al D.L. e verificare le ragioni dallo stesso esposte.
E’ probabile che sussista un impedimento tecnico e/o amministrativo che impedisce al D.L. di attestare il completamento dell’opera.
Senza il predetto attestato la Banca non può svincolare gli importi residui del mutuo.
Le predette vicende, tuttavia, non sono impeditive per la tutela dei diritti dei soci, i quali, dopo avere adeguatamente verificato le effettive circostanze che precedono, possono citare la Cooperativa ai sensi dell’art. 2932 c.c. e trascrivere la relativa domanda con effetto prenotativo del trasferimento della proprietà (vincolante), nonché anche l’impresa se sussistono manchevolezze costruttive che impediscono la certificazione di fine lavori.

Quesito del 05/12/2021

Quale socia di cooperativa edilizia, a seguito di contenzioso, nel gennaio 2018 ho manifestato tramite il mio legale l’assenso alla sottoscrizione di un atto transattivo per addivenire alla sottoscrizione dell’atto notarile di assegnazione. L’atto transattivo è stato approvato dall’assemblea dei soci nel gennaio 2018 e riproposto dall’amministratore all’approvazione dell’assemblea nel giugno 2018 in sede di approvazione del bilancio. L’assemblea approvò di nuovo ma ne subordinò la firma al pagamento delle competenze al legale della società.
L’amministratore scrisse quindi una lettera ad ognuno dei 52 soci presenti chiedendo il pagamento della quota di spese legali, per una spesa notevole, circa 1.500 euro a socio, minacciando azioni legali contro chi non volesse pagare e subordinando la chiusura della controversia e quindi la liquidazione della società al pagamento da parte di tutti i soci.
Nel frattempo io provvedo ad individuare il notaio per la firma dell’atto di assegnazione e viene chiesto alla società di preparare l’APE e relazione tecnica. Per la redazione di tali documenti scorre tutto l’anno 2019. Chiedo più volte al mio legale di diffidare il legale della società affinché si provveda alla chiusura della controversia in quanto nel frattempo mi viene impedito di esercitare le mie prerogative di proprietaria dell’alloggio. A febbraio 2020 con il mio legale effettuo incontro definitivo con il notaio per approntare l’atto. Manca solo la data della stipula che da parte della società non arriva. Scoppia quindi il lockdown, arriviamo a giugno e dopo varie sollecitazioni il mio legale risponde che la società è in scadenza al 30 giugno e che firmare un atto con la società scaduta ci avrebbe esposto a nullità dello stesso. L’amministratore organizza quindi in tutta calma fino al marzo 2021 l’adozione di un atto notarile di apertura della liquidazione della società e di nomina di sé stesso come liquidatore unitamente ad un altro socio.
Nel frattempo a tutti i soci che chiedono informazioni circa il trascorrere del tempo ed il sostenimento di costi di funzionamento che gravano su tutti. l’amministratore risponde che sono io a non voler firmare l’atto. In contemporanea vengono congelate le udienze delle due cause pendenti.
Ho vinto in primo grado e la società ha proposto ricorso, mentre un’azione legale proposta da me è ferma per trattative. Sono però passati 4 anni con la convinzione di averle già concluse 4 anni fa queste trattative, invece il legale della società e la società usano ogni pretesto possibile per non firmare, togliendomi potere in giudizio dato il tempo trascorso e la possibilità di agire come proprietario dell’alloggio.
Questo infatti è servito da un impianto idrico condominiale che ormai serve solo il mio alloggio perché la proprietà mi ha impedito di staccarmi come gli altri e creare un impianto autonomo. L’amministratore però non ha mai compiuto lavaggi al grande deposito che prima serviva 12 alloggi ed a seguito di un’infezione contratta dal mio babbo a giugno scorso ho provveduto a far analizzare l’acqua del deposito e ne è uscita la presenza di batteri coliformi. E’ evidente che l’uso del deposito da parte di un solo utente non ha garantito il ricambio necessario da far restare l’acqua pulita. Ad ora quindi ho solo l’allaccio diretto all’acquedotto senza uso del deposito, i soci mi accusano di voler tenere in piedi la società quando invece ancora il legale usa pretesti di dover rivedere il testo della transazione per rimandarne la firma.
Il mio legale dice di pazientare. Tenuto conto che sono 4 anni che paziento, che l’altro legale ha subordinato la firma alla riscossione delle sue competenze, chiedo se vi è responsabilità di entrambi i legali che mi stanno truffando non chiudendo una controversia definita ormai 4 anni fa e che mi hanno impedito di agire come proprietario dell’alloggio, subendo il rischio di infezioni per l’impianto idrico. Sono soprattutto amareggiato con i due legali, compreso il mio che non vuole diffidare l’altro ad onorare gli impegni presi 4 anni fa.

Risposta al quesito:
Il rapporto con i propri legali è di natura fiduciaria, sicché l’insorgenza di “diffidenze” del mandante verso il professionista mandatario determina una patologia comportamentale.
In ogni caso la legge professionale vieta all’avvocato di esprimersi sull’attività di un collega, il quale mantenga il mandato fiduciario.
Il caso di specie va adeguatamente approfondito e appare probabile che in ragione della complessità l’attuale professionista abbia valide ragioni per temporeggiare, al fine di ottenere il miglior risultato.

Quesito del 04/12/2021

Gentilissimo avvocato Cannavò, Le espongo brevemente il quesito.
Otto soci di una cooperativa edilizia in L.c.a, avendo il loro preliminare valido (sottoscritto quando la cooperativa era in bonis) hanno richiesto ed ottenuto l’assegnazione del loro immobile al MISE con riconoscimento di tutte le somme già versate antecedentemente. Tale assegnazione deriva dal fatto che, a seguito di loro precisa richiesta, gli otto assegnatari, si accollavano tutte le spese di completamento, tra cui ascensore, ringhiere e pavimentazioni cortile oltre alle opere antincendio obbligatorie per legge al fine di ottenere l’agibilità, nonché oneri comunali ancora dovuti dalla cooperativa. Tali fatti erano ben specificati nella citata autorizzazione del MISE, conditio sine qua non, per poter rogitare a beneficio degli stessi richiedenti, liberando in tal modo la curatela da ogni altra incombenza nonché gli altri immobili ancora in carico alla stessa liquidazione. Successivamente la curatela bandiva l’asta per gli altri due immobili rimanenti che venivano correttamente aggiudicati.
Alla prima riunione condominiale, gli otto assegnatari pretendono di obbligare gli altri due proprietari alla partecipazione delle consistenti spese descritte nella loro richiesta e solamente indicate nel loro rogiti, con annessa perizia riportante gli importi e le tipologie di interventi.
La domanda che Le pongo e se ed in che misura i due condomini (aggiudicatari dell’immobile all’asta) debbano partecipare alle spese e pagamento degli oneri comunali, quando le stesse spese e pagamento degli oneri erano specificatamente dettagliate nella clausola Ministeriale e globalmente a carico degli otto?
Quale ruolo deve avere il commissario liquidatore e come può intervenire a supporto degli aggiudicatari?

Risposta al quesito:
Il Commissario Liquidatore non ha alcuna autorità in ordine alla controversia tra i condomini, in quanto la sua funzione è stata assolta con la vendita all’asta dei due alloggi e con la conseguente stipula del rogito di trasferimento della proprietà individuale agli aggiudicatari.
Si potrebbe, semmai, profilare una responsabilità del Commissario Liquidatore, qualora nell’atto pubblico non emergesse alcun riferimento al Bando d’Asta riportante gli obblighi dei soci in ordine alle parti comuni o, comunque, le indicazioni dei pregressi atti amministrativi di autorizzazione al subentro nei preliminari stipulati dai soci medesimi.
In ogni caso, gli aggiudicatari devono verificare i rogiti di assegnazione ai soci, che potrebbero contenere i riferimenti alle loro obbligazioni, sia esplicitamente che implicitamente.
Qualora sussistessero i predetti riferimenti, gli aggiudicatari devono procedere in sede giudiziaria civile, dimostrando di essere esonerati dalle spese in ragione dell’obbligo degli ex soci.

Quesito dell’01/12/2021

Buongiorno avvocato, ci sentimmo ad Aprile scorso e dato i tempi ristretti, ho aspettato l’evolversi della situazione.
In sostanza: l’ultimo soggetto (Banca) ha accettato il piano. A me da originarie 165 – 185 mila euro, mi vengono richieste 245 mila euro. Le prossime settimane avremo incontro con il professionista.
Se nella malaugurata ipotesi io non potessi sopperire a tale richiesta (ad Aprile avrò 69 anni con 1.700 euro di pensione) ad accensione mutuo, non firmando, cosa può succedere?

Risposta al quesito:
Se lei non può affrontare l’aumento di spesa proposto con il Piano di ristrutturazione deve richiedere la risoluzione del contratto e pretendere il rimborso di quanto versato, da inserire nel piano.
Se lei resta danneggiato da una minore somma offerta in ragione delle oggettive possibilità finanziarie, in tal caso può verificare se sussistono responsabilità degli ex amministratori e procedere con l’azione di responsabilità nei loro confronti.
In ogni caso, occorre approfondire l’intera vicenda mediante l’esame della documentazione riguardante il procedimento concorsuale.

Quesito dell’01/12/2021

Il mio condominio è composto da quattro scale ed un piano seminterrato con box, e consta di n. 8 unità per scala e 50 box. La costruzione è all’incirca dell’anno 1995 ed è stata realizzata da una cooperativa, oggi sciolta, i cui soci sono attuali condomini in misura del 50% degli occupanti. Alcuni di questi soci posseggono il box ed altri no, sebbene i box siano attualmente 50 e non legati nello stesso atto dell’appartamento.
Ebbene ho scoperto che detta cooperativa ha ottenuto la licenza “in sanatoria” all’epoca ma per soli 40 box. I detti soci, impossessandosi dell’area prevista per il parcheggio, vi costruivano in difformità alla licenza i restanti 10 box vendendoli e privando le singole unità dei venti metri per parcheggio previsti dalla legge ponte. Ovviamente questa difformità ha comportato la mancanza della abitabilità degli appartamenti e non sono stati versati gli oneri di urbanizzazione. Inutile dire che detti condomini soci si passano la palla tra loro negando e incolpando il costruttore la cui consorte era la presidentessa della cooperativa, tra l’altro defunta assieme al marito.
La mia domanda, egregio avvocato, è questa: cosa bisognerebbe fare, come iniziare e come procedere per ottenere lo spazio che e stato sottratto?
In realtà esiste una possibilità ridotta per il parcheggio ma sul solaio abusivo delle dette costruzioni, ma per meno della metà del fabbisogno, sui quali vorrebbero parcheggiare anche coloro che hanno creato ed approfittato del disastro provocato da loro stessi. Nel mio rogito di acquisto, col quale ho comprato l’appartamento da un socio della cooperativa, non è detto nulla circa il parcheggio ma in quel tempo (1997) era d’uso sostare sul detto solaio ed in aree di porticato che abbiamo scoperto essere non consentite all’uopo dal regolamento condominiale, allegato presso il notaio.

Risposta al quesito:
La problematica esposta non ha nulla a che vedere con la gestione delle Cooperativa, che, a quanto sembra, ha ottenuto la sanatoria per i 40 box, regolarmente posseduti da altrettanti soci.
Rileva, viceversa, l’abusivismo edilizio riguardante i 10 box, la cui irregolarità urbanistica pemane a tutt’oggi.
La problematica è, dunque, tutta condominiale, sicché i condomini interessati devono preliminarmente verificare che i box siano stati realizzati in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione sismica.
All’esito dei riscontri, i predetti condomini devono formulare gli esposti dei fatti al Comune e al Genio Civile e al contempo dare corso ad un giudizio per la declaratoria del persistente abuso edilizio e per la demolizione dei manufatti.

Quesito del 30/11/2021

Il 31.12.2020 per cambio di appalto siamo stati licenziati dalla Cooperativa, ci fu stato detto che la quota sociale (40 € al mese che ci venivano detratti in busta paga fino al raggiungimento di 800 €) ci sarebbe stata rimborsata entro 180 gg. dall’approvazione del bilancio. Al nostro sollecito, ad ottobre, ci è stato invece detto che la Cooperativa è il liquidazione da fine giugno.
Mi potrebbe dire le tempistiche per il rimborso? E se è il caso di farci seguire da un legale?

Risposta al quesito:
Occorre verificare preliminarmente se la Cooperativa è in Liquidazione volontaria ovvero in Liquidazione Coatta Amministrativa.
Nel primo caso l’Assemblea dei soci ha deliberato di liquidare il patrimonio sociale al fine di estinguere la Società.
E’ stato, quindi, nominato il Liquidatore, il quale deve provvedere alla realizzazione liquida delle attività sociali (esposte nel Bilancio), che deve essere utilizzata per fronteggiare le passività.
In tale ipotesi, il credito dei soci lavoratori matura nei tempi previsti dallo Statuto, ma può essere rimborsato dopo che il Liquidatore ha realizzato le necessarie attività liquide.
Se tali attività risultano inesistenti, i soci creditori possono agire contro gli ex amministratori se sussistono le condizioni di responsabilità gestionali.
Nel secondo caso, si tratta di procedura concorsuale (come il fallimento) regolata dalla legislazione speciale, secondo cui il Commissario Liquidatore deve liquidizzare il patrimonio sociale e distribuire il ricavato secondo la gradazione dei crediti: prededucibili, privilegiati, chirografari, postergati.
Nel caso di specie, trattandosi di quota sociale (non credito di lavoro) il relativo credito rientra tra quelli “postergati” che in genere hanno poche probabilità di essere soddisfatti.
L’eventuale azione giudiziaria deve essere, comunque, preceduta dall’analisi del Bilancio della Cooperativa, al fine di comprendere se sia probabile il recupero, tenuto conto delle attività realizzabili da parte della Cooperativa.