Quesito del 22/08/2016

Circa 5 anni fa la Cooperativa di cui ero socio assegnatario ha deliberato con voto unanime dei soci e su istanza del Presidente, la vendita al sottoscritto di un vano tecnico, posto al piano terrazzo, visto che sarebbe rimasto inutilizzato, scopo deposito. I soci hanno incassato circa 1.200 euro cadauno come minor versamento da fare alla Cooperativa.
Oggi il Comune, per voce del dirigente Ufficio Tecnico, mi comunica che quel magazzino di 18 mq non poteva essere accatastato da privato ma solo come locale ad uso deposito del Condominio, prefigurando così un abuso edilizio o una illegittima assegnazione.
Come è mai possibile che il deposito che ho acquistato dai soci, regolarmente accatastato dalla coop come C/2, minuziosamente descritto nell’atto notarile, su cui pago IMU (seconda pertinenza C/2), tassa dei rifiuti, prefiguri da parte mia un reato penale, attesa la mia buona fede (e dei 25 soci che hanno firmato la vendita)? Sono sconcertato.

Risposta al quesito:
Il quesito pone due problematiche: l’una di natura pubblicistica, l’altra di natura privatistica.
La prima attiene agli aspetti penali e amministrativi dell’abuso, l’altra inerisce agli aspetti risarcitori per il vizio della cosa acquistata.
Quanto al primo aspetto, in sede penale non dovrebbero esserci conseguenze per l’acquirente di buona fede, essendo il reato contravvenzionale  imputabile al rappresentante legale della Cooperativa (il quale risponde anche del reato di falso per la dichiarazione resa nell’atto di assegnazione). In sede amministrativa occorre verificare se la situazione di abuso possa essere sanata con una variante, probabilmente con progetto ex art.13, predisposto da un tecnico professionista abilitato.
In ogni caso tutti i costi e i danni possono essere richiesti dall’acquirente alla Cooperativa venditrice.
Il pagamento dell’IMU non sana l’opera abusiva, anche se l’irregolarità è dovuta ad un progetto errato e l’acquirente dell’immobile è in buona fede.
Occorre, pertanto, regolarizzare l’opera secondo legge, salvi gli aspetti risarcitori sopra enunciati.

Quesito del 12/08/2016

Ho sottoscritto un preliminare di assegnazione di una villetta a schiera con una coop edilizia con un piano finanziario che prevedeva: euro 60.000 a carico del socio; euro 90.000 con contributo regionale agevolato. A lavori iniziati, dopo che il sottoscritto ha versato i 2/3 della somma dovuta, in una assemblea dei soci, ci viene comunicato che non è stato concesso il prestito agevolato e che pertanto si doveva provvedere con fonti proprie.
Chiedo: può la coop variare il piano finanziario? Può il socio recedere dal contratto e chiedere l’immediata restituzione della somma versata?

Risposta al quesito:
Nel caso di specie la variazione al piano finanziario è la conseguenza necessaria del rigetto del mutuo agevolato e, pertanto, non può che essere accettata dai soci in quanto non è un mutamento arbitrario del contratto mutualistico.
Restano, però, ferme le eventuali responsabilità degli amministratori nel caso di loro inadempienze significative ai fini del mancato ottenimento del contributo.
In tal caso i soci possono agire  a titolo risarcitorio.
Per quanto attiene al recesso, esso è regolato dall’art. 2532 del codice civile e dalle norme eventualmente derogative dello Statuto sociale.
Nel caso di specie, se la Cooperativa intende proseguire il programma anche senza il contributo agevolato, il socio dissenziente ha diritto al recesso (salva diversa disposizione dello Statuto) essendo mutate le condizioni contrattuali inizialmente poste.
Se, viceversa, tutti i soci intendono liquidare la società, in tal caso nessuno di loro può   sottrarsi all’obbligo di contribuzione delle spese per l’estinzione del sodalizio.

Quesito del 10/08/2016

Da 5 anni sono socia lavoratrice di una cooperativa sociale e vorrei chiedere un anno di aspettativa senza retribuzione.
Secondo il CCNL delle cooperative sociali mi spetterebbe un periodo massimo di 6 mesi, c’è modo di prorogare tale periodo?

Risposta al quesito:
Effettivamente il CCNL delle cooperative sociali prevede che i soci lavoratori con almeno un anno di anzianità possano, previa richiesta, ottenere un periodo massimo di aspettativa pari a sei mesi (senza retribuzione né riconoscimento di anzianità a qualunque titolo), ferma restando la salvaguardia delle esigenze di servizio.La suddetta richiesta deve essere motivata da gravi o comprovate ragioni personali o da malattie dei familiari e non può essere concessa ad oltre il 3% del totale dei dipendenti a tempo pieno. Il socio che  non si presenti al lavoro nei quindici giorni successivi alla scadenza del periodo di aspettativa viene considerato dimissionario.
Tuttavia, occorrerà verificare se nello Statuto o nel Regolamento interno (obbligatorio per tutte le cooperative di lavoro, ai sensi dell’art. 6, Legge n. 142/2001) siano espressamente contenute disposizioni più favorevoli in materia di aspettativa, come ad esempio la possibilità, per i soci lavoratori, di prorogare il periodo semestrale nel caso in cui le succitate esigenze permangano.

Quesito dell’08/08/2016

Mi è stato prospettato l’acquisto con accollo mutuo di un appartamento da una società cooperativa che si trova in gravi difficoltà finanziarie.
Che rischi posso correre?

Risposta al quesito:
In linea generale tutti quelli possibili nell’ipotesi di acquisto da società in prossimo dissesto.
Oltre ai rischi di dovere fare fronte alle esigenze finanziarie della Cooperativa, in ragione di deliberati sociali di assunzione dei costi da parte dei soci, si profilano i rischi di revocatorie o risoluzione contrattuale da parte delle Procedure Fallimentari.

Quesito del 07/08/2016

Nel novembre 2011 ho aderito alla coop XX-Roma, acquisendo una quota P.Z. Trigoria, con pagamenti rateizzati; con il crollo del mercato immobiliare non sono riuscito a vendere il mio appartamento; nel mar 2013, ho trasmesso formale rinuncia.
Nel contratto si evince che le quote elargite saranno riconsegnate solo con la riassegnazione della quota (oggi dell’alloggio ormai ultimato); fino a questo momento nessun acquirente si è fatto avanti e la cooperativa non dimostra nessun interesse nemmeno a rifondarmi in parte o con qualche formula “creativa”, tra cui il calo del prezzo oggi fuori mercato.
Io mi ritrovo con parecchie decine di migliaia di euro bloccate senza poter pensare a dare un futuro migliore alla mia famiglia. Cosa mi consiglia?

Risposta al quesito:
Occorre, innanzitutto, esaminare i termini contrattuali, al fine di verificare gli effettivi limiti al rimborso della quota sociale.
Occorre, poi, verificare se l’attività posta in essere dalla Cooperativa sia realmente adempiente, ciò al fine di potere eventualmente opporre l’inefficacia della clausola limitativa del diritto al rimborso.
Solo successivamente all’approfondito esame delle circostanze sopra indicate e di quant’altro necessario, si può formulare un’adeguata strategia di tutela difensiva.

Quesito del 07/08/2016

Sono Presidente di una cooperativa a proprietà indivisa nata negli anni 80. Ad oggi ancora non siamo riusciti a trasformare la società a proprietà divisa. Alcuni soci sono deceduti e sono arrivate nuove richieste di assegnazione di alloggi, ad alcune di queste forse manca il requisito di impossidenza avendo già un alloggio di proprietà.
La domanda è se riesce a farmi sapere la norma che regola l’impossidenza e da dove viene si evince se una proprietà e adeguata o meno al proprio nucleo familiare. Ci sono delle tabelle? Si calcolano i metri, i vani, il nucleo? Ah dimenticato, la cooperativa ha ottenuto un contributo in conto interessi dalla Regione Puglia negli anni 80, mutuo estinto ormai da decenni.

Risposta al quesito:
In generale la normativa che regola l’impossidenza è quella prevista dalla L-.179/92 , che presuppone l’assenza del diritto di proprietà, usufrutto o altro diritto reale per ciascun componente il nucleo familiare del socio assegnatario di alloggio in area PEEP con finanziamento pubblico.
Secondo la predetta normativa (integrata dalle circolari del Min.LL.PP. 1995) l’alloggio deve essere adeguato al nucleo familiare, cioè deve avere un vano catastale per ogni componente, con un minimo di due; l’alloggio medesimo, inoltre, deve essere abitabile ai fini urbanistici.
Esistono, tuttavia, alcune deroghe alla predetta disciplina, determinate nei Bandi di Finanziamento (emessi da Regioni, Comuni o altri Enti) che possono stabilire specificatamente gli elementi distintivi del requisito dell’impossidenza.