Le dismissioni immobiliari degli Enti previdenziali e la tutela dei diritti degli inquilini.

E’ accaduto e accade ancora oggi che alcuni Enti previdenziali dismettano il proprio ormai risalente patrimonio immobiliare, già da tempo condotto in locazione da lavoratori a reddito medio-basso.
E’, dunque, del tutto comprensibile che gli inquilini aspirino a coronare il loro sogno, non solo di acquisire la proprietà  della casa in generale, ma addirittura di potere abitare da proprietari quello stesso  immobile da molti anni ordinatamente condotto in locazione, mediante il puntale pagamento del canone in favore dell’Ente.
Le due parti sembra che si incontrino, da un lato l’Ente che intende realizzare il valore degli immobili, ormai datati e a costo manutentivo elevato; d’altro canto gli inquilini che intendono realizzare il loro sogno, anche a costo di duri sacrifici economici.
Fin qui tutto sarebbe normale, se le “regole“ della dismissione non fossero ispirate a meccanismi poco trasparenti, per certi aspetti artificiosi e ingannevoli, nonché sostanzialmente illegittimi.
E’ il caso di un importante Ente previdenziale che ha organizzato la dismissione del proprio patrimonio immobiliare imponendo la costituzione di Cooperative a regime pilotato, nonché servendosi di altre Società compiacenti per la gestione dell’invenduto, il tutto con oneri necessariamente gravanti sugli inquilini, costretti ad accettare le “condizioni” in chiaro stato di bisogno.
Nel poco trasparente quadro che precede, l’Ente che dismette ottiene il vantaggio di imporre il prezzo degli immobili (obbligatoriamente venduti in blocco) senza il peso dell’abbattimento della condizione locativa e del pessimo stato manutentivo, così recuperando un prezzo per singolo alloggio in misura superiore a quella di mercato.
Con il succitato comportamento, l’Ente venditore disconosce  gli accordi a suo tempo raggiunti con i sindacati degli inquilini e, soprattutto, viola le norme civilistiche poste a tutela del consumatore finale e del libero mercato.
Ma v’è di più, in quanto gli immobili oggetto della dismissione contengono da sempre materiali costruttivi di amianto, sicché i malcapitati inquilini – acquirenti, non solo sono costretti ad abbozzare al poco trasparente meccanismo di dismissione, ma addirittura devono provvedere a loro spese alla bonifica degli alloggi dall’amianto, a meno di continuare a patire i danni già subiti in tanti anni di conduzione locativa.
Alla luce di quanto precede, appare auspicabile che gli inquilini, ancorché messi alle strette dal noto e artificioso meccanismo, prendano coscienza dei loro diritti, ponendo in essere la tutela loro riconosciuta dalla legge; ma è altrettanto auspicabile che le Istituzioni all’uopo preposte esercitino il controllo di legittimità.

Cooperative e reati societari: il falso valutativo ha ancora rilevanza penale.

La recente pronuncia delle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione in tema di falso in bilancio (sentenza n. 22474/2016) è di fondamentale rilievo per tutte le società di capitali ivi incluse le cooperative.
Con la sentenza in oggetto si è, infatti, posto fine al contrasto giurisprudenziale in merito al reato di false comunicazioni sociali (e, in particolare, alla fattispecie del cd. falso valutativo) scaturito a seguito delle modifiche apportate agli artt. 2621 e 2622 c.c. dalla Legge n. 69/2015.
Nello specifico, le SS.UU. hanno chiarito come tali modifiche non abbiano comportato alcun effetto abrogativo della fattispecie di “falso valutativo”, enunciando il seguente principio di diritto: “Sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di ”valutazione”, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni”.
Nella pagina dedicata al diritto penale l’approfondimento ed il testo della Sentenza.